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sabato 26 gennaio 2019

Celsa Bianca Via del Monolito


Nell’aria aleggia il sapore beffardo della resa, ma non può assolutamente finire così, dopo due rinunce, un tentativo e un solo obiettivo centrato in questo inizio di stagione invernale. La vista rassicurante del Monolito ci ha soltanto illuso perché da lì le difficoltà sarebbero dovute diminuire sensibilmente, ma è proprio da quel punto che avremmo gettato il cuore oltre l’ostacolo per superare oggi un avversario tanto ostico. Gli ultimi settanta metri diventano invece un calvario perché abbiamo già combattuto con la neve alta e fresca ed ora ci troviamo davanti ad accumuli di un metro e mezzo di neve assolutamente inconsistente e non riusciamo a fare un passo avanti. 



Dal Monolito con grande sforzo raggiungo un loricato mentre dal mio socio, che procede di lato nel tentativo vano di trovare un terreno migliore, arrivano strani grugniti di fatica mentre avanza nella neve. Ora bisogna dare adito a tutte le energie residue e tirar fuori tutto ciò che abbiamo per il tratto finale che ci porterà in vetta. 



Cerco di arrancare e ogni decimetro in più che conquisto è oro colato ma arrivo ad un punto morto dove qualsiasi tentativo di avanzare è vano. Provo a sfondare ma mi ritrovo al punto di partenza tanto che sembra di nuotare in un mare verticale. Proprio non si riesce a venire a capo da questa situazione di stallo. 



Ed ecco una illuminazione: calzare le ciaspole e tentare di sollevarmi infilandole con forza nella neve alta, ma niente da fare. Sprofondano non incontrando nessuna resistenza. La neve in questo punto maledetto è come farina e la pendenza per gli accumuli è molto accentuata, sembra di lottare con il vento e un certo sconforto comincia a pervadermi. L’idea di rinunciare si fa avanti ma scendere e tornare indietro con queste condizioni diventerebbe ugualmente un’impresa. 



Come extrema ratio prendo le ciaspole in mano issandomi con forza cercando di infilarle di punta nella neve come se volessi pagaiare. In tal modo riesco a spostarmi verso sinistra dove compaiono delle roccette affioranti con neve più abbordabile. La mia intuizione è giusta, le raggiungo e finalmente con notevole sforzo conquisto gli ultimi trenta metri più agevolmente. E’ fatta, lancio un urlo liberatorio che squarcia l’atmosfera magica di questi luoghi. 



 

































Oggi Celsa Bianca, questa formidabile muraglia di duemila metri dopo una faticosa ravanata è vinta. Anche se abbiamo ingaggiato una dura lotta infine siamo stati ampiamente ripagati dai panorami mozzafiato e da questi ambienti fiabeschi stracolmi di neve che difficilmente, in situazioni “più normali” si sarebbero potuti ammirare. 



E pensare che il giorno prima eravamo indecisi sull’itinerario perché a dispetto dello scarso innevamento dei giorni precedenti, ora di neve ne era venuta giù tanta, caduta copiosa e anche a quote collinari in barba alla nostra impazienza dei giorni precedenti. Fra tre itinerari da me proposti infine avevamo optato per quello dalle difficoltà maggiori, la Cresta Ovest di Celsa Bianca fatta in notturna questa estate.



Partiamo dal sottopasso dell’autostrada all’alba e mentre ci avviamo lungo la sterrata già imbiancata che porta a Valle Piana ammiriamo incantati le ardite architetture di vetta di sua Maesta’ il Dolcedorme baciate dai primi raggi di sole,le cui Direttissime sono stracolme di neve e le creste spazzate dal vento. 



A sinistra si allunga invece l’immensa muraglia di roccia e neve che e’ le Murge di Celsa Bianca,costellata di pini loricati dalla cui base partono una marea di canaloni,anfratti e strette gole,un mondo verticale di incredibile e selvaggia bellezza. 



Dopo il bivio per la Direttissima a quota 1100, il già importante spessore del manto nevoso ci vede costretti a calzare le ciaspole, attrezzi indispensabili se si vuol procedere senza affondare. In quota dopo una serie di tornanti nel bosco raggiungiamo l’ampia radura dalla quale sorge maestoso l’anfiteatro sud ovest di Celsa Bianca.


La sua vista ammaliante ci cattura e ci invita a scalarlo pur sapendo che con la gran quantita’ di neve che accumula non sarà per niente una passeggiata. Così rinunciamo alla Cresta Ovest e risaliamo la cosiddetta Via del Monolito che feci alcuni anni fa con l’amico Mimmo in condizioni di scarso innevamento. Questa volta però sarà diverso. 



Riposte le ciaspole ci avviamo procedendo lungo la radura qui spazzata dal vento e poi introducendoci dritti nell’ampio canale dove si comincia ad affondare anche di una trentina di centimetri. Pur faticando riusciamo comunque a tenere un buon ritmo. Il panorama è veramente grandioso con le creste affilate che si innalzano ardite e i pini loricati ricolmi di neve ivi abbarbicati. 



Raggiungiamo lo spigolo sul bordo sinistro a metà canale dal quale cerchiamo di capire quale direzione prendere. Per evitare una ravanata nell’attraversamento dell’anfiteatro puntiamo la crestina alla nostra sinistra che raggiungiamo a grande fatica passando sotto un loricato. Purtroppo essa non è praticabile perché andrebbe protetta, servirebbero due piccozze e soprattutto neve portante e consolidata. 



A malincuore dobbiamo scendere e ci tocca guadagnare la sponda opposta. Suggerisco di risalire lungo la cresta cosi almeno dovremmo combattere meno con la neve alta. La piccozza serve soltanto a fare presa sui ciuffi d’erba o agganciandola su qualche spuntone di roccia. Finalmente raggiungiamo il Monolito, un singolare parallelepipedo calcareo alla testata della cresta sud credendo che ora il peggio sia passato. Pura illusione perché ancora ci sarà da combattere e quello che verrà dopo l’ho già raccontato. 



Ma non è finita qui perché lungo la discesa dal versante opposto il cielo si chiude e comincia a venire giù un fitto nevischio.Anche con le ciaspole si affonda terribilmente e quella di destra mi si stacca continuamente dal piede (imprecazioni a raffica).Riusciamo ad intercettare il sentiero che porta dritti al Varco del Pollinello e poco prima di raggiungerlo il socio mi prega di fermarci per mangiare qualcosa perché la benzina è finita e se uno come lui mi dice questo vuol dire che siamo veramente esausti. 



Dopo esserci rifocillati alla buona riprendiamo il nostro cammino e guadagniamo il Varco.In condizioni normali il primo tratto è un sentiero stretto scavato nella roccia davvero spettacolare. Ora invece è completamente coperto dalla neve e a valle ci sono i dirupi. 




































In una situazione davvero precaria dobbiamo levarci di nuovo le ciaspole per superare il passaggio delicato che con la neve alta è diventato un traverso molto insidioso. Uno scivolone in questo punto non so come potrebbe finire ma infine, dopo tante peripezie riusciamo anche a superare la ciliegina sulla torta di questa lunga, complessa e faticosissima ascensione che concludiamo con l’interminabile via del ritorno che ci porta infine all’auto che raggiungiamo al tramonto. 



Penso che di tanto in tanto ci sia bisogno di queste uscite avventurose dettate più dall’istinto che da una minuziosa programmazione sempre alla ricerca quasi ossessiva delle condizioni ottimali. Affrontare cosi la montagna, ci insegna che di fronte allo spettacolo e all’immensità della natura l’arroganza di imporre le proprie condizioni è fuori luogo e che siamo veramente piccoli e insignificanti, che bisogna costantemente imparare da essa e da essa trarre ispirazione.