Accompagnare per la prima volta un amico in montagna è senza dubbio un’esperienza appagante. Il piacere di condividere e far scoprire la bellezza di luoghi che conosci profondamente, percepire la gioia e lo stupore nei suoi occhi, e l'orgoglio per aver raggiunto una meta frutto di impegno e sacrificio, ti riempiono di profonda soddisfazione.
Allo stesso tempo ti devi anche assicurare che si diverta e si senta a proprio agio su un terreno e un ambiente a lui sconosciuto. Talvolta però non è così. Agorafobia, vertigini, paura dell'altezza, del vuoto e altri fattori psicologici potrebbero generare ansia e addirittura panico. Può capitare, ma queste situazioni si possono gestire con una buona pianificazione e una preparazione fisica e mentale adeguata. Mi fa strano però che sia capitato due volte sulla stessa montagna e nello stesso percorso.
Con l'amico Saverio, una persona molto sensibile ma dal profilo emotivo un po' complesso e di difficile decifrazione, domenica pomeriggio 8 settembre ci dirigiamo su Serra del Prete con l'intento di immortalare il tramonto, e la scelta non è casuale. Pur essendo la terza vetta del Pollino per altezza, con i suoi 2180 metri, offre un avvicinamento immediato e non presenta particolari difficoltà, eccezion fatta per la cresta nord, leggermente ripida. Non a caso, è anche soprannominata la "Direttissima". A mio parere, è una montagna estremamente panoramica che regala scenari mozzafiato di ampi spazi aperti, una profonda sensazione di vastità e sulle praterie di vetta, l'impressione di trovarsi in un paesaggio lunare.
Attacchiamo la salita intorno alle 16 da Colle Impiso, percorrendo la pista che si addentra nella faggeta. Dopo alcuni tornanti, scegliamo di seguire dei segni di nastro bianco, che però ci conducono su un tratto piuttosto ripido, facendoci uscire dal bosco più avanti rispetto al sentiero tradizionale. L'impatto di trovarsi improvvisamente allo scoperto, di fronte a scenari di vastità assoluta,provoca al compagno un profondo disorientamento. Per fortuna e al momento, la sua ansia non sfocia nel panico. Con lo sguardo rivolto a terra, l'unico obiettivo è risalire rapidamente il ripido pendio e raggiungere quanto prima la cresta. Tuttavia, una volta lì, il problema persiste: la cresta è anch'essa ripida e leggermente affilata. L'incertezza del "dopo", o peggio pensare che il resto del percorso sarà sempre uguale lo blocca e gli crea una tensione emotiva tale da voler tornare indietro, ma non si può. La cresta da percorrere a ritroso lo spaventa ancor di più.
Con voce rassicurante ma decisa gli suggerisco di fermarsi in un luogo sicuro e tranquillo per rifiatare così da recuperare il controllo. Lo tranquillizzo dicendogli che dalla vetta il rientro lungo il versante opposto sarà molto più agevole. Sapere cosa lo attende, infatti, può alleviare notevolmente la sensazione di incertezza. La strategia funziona, e così, passo dopo passo, raggiungiamo i 2180 metri della vetta. Finalmente vedo la tensione attenuarsi dal suo volto, che appare ora più sereno e rilassato.
A questo punto, tira fuori il cellulare e inizia a scattare molte foto. Una volta calmato del tutto e la situazione è sotto controllo, discutiamo su come affrontare al meglio le future escursioni, qualora volesse farne altre. Gli suggerisco una preparazione progressiva, così da rafforzare gradualmente la sua fiducia.
Per quanto riguarda il tramonto, decidiamo di rinunciarvi, sia perché siamo in anticipo di un'ora e mezza, sia a causa di una densa coltre afosa a ovest che rende l'orizzonte offuscato e inguardabile. Decidiamo di scendere anticipatamente, dapprima lungo dolci pendii sul versante opposto rispetto a quello di salita, poi seguendo il sentiero che conduce a Piano Gaudolino, che raggiungiamo al calare del crepuscolo. La quiete è totale, e Saverio, a questo punto, sembra trasportato in una dimensione quasi metafisica.
Prima di tirar fuori le lampade frontali dallo zaino per affrontare il ritorno al buio, mi chiede addirittura di rimanere qualche minuto in silenzio, per godersi l’assoluta quiete e la profonda serenità che avvolge l’ambiente circostante. L'incredibile metamorfosi in positivo che ha vissuto in queste poche ore in montagna mi porta alla mente una frase del film Un mondo a parte: "la montagna lo fa". Infine anche un grosso rospo immobilizzato dalla luce delle frontali ci saluta prima di arrivare all'auto.
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