"Che sono quei monti?" chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. 'Sono le Alpi Apuane', mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo: terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell'incendio".
Fosco Maraini
Quando nove anni fa posai lo sguardo su questo complesso montuoso, rimasi affascinato dalla sua morfologia aspra e incisa, da cui l'appellativo di "Alpi", nonostante le sue cime non raggiungono neanche i 2000 metri (l'elevazione massima è rappresentata dal Pisanino con 1947 m).
Pur trattandosi di quote appenniniche, qui non esistono montagne facilmente accessibili tramite percorsi semplici o sentieri agevoli. Cime aguzze, creste affilate e seghettate, valli strette e profonde, tutte di una bellezza selvaggia e primordiale, impongono all'escursionista itinerari impegnativi e alpestri in tutti i suoi versanti.
Dopo l'appagante esperienza della ferrata del Monte Contrario fatta nel 2015, che considero una delle più impegnative in Italia, promisi a me stesso di ritornare appena possibile in Apuane (gli apuani erano antiche popolazioni liguri preromane che abitavano in queste terre). In quell' occasione, una delle cime che destò il mio interesse, ben visibile dal crinale del Contrario fu il Pizzo d'Uccello, definito il "Cervino delle Apuane" per la sua forma ardita di perfetta piramide con tre facce e tre creste che gli conferisce un aspetto alpino e severo.
Tra i vari percorsi per raggiungere la vetta mi fu segnalata la Cresta della Nattapiana, considerata tra le più famose ed appaganti delle Apuane. Lunga circa due chilometri e mezzo si sviluppa lungo un percorso mozzafiato in un ambiente maestoso e selvaggio, un continuo saliscendi sul filo della cresta affilata, aggirando gendarmi e arrampicando su speroni rocciosi.
Così a inizio ottobre mi sento con Massimo, conosciuto due anni fa su Instagram e sua moglie Elena, entrambi "apuani doc", da un paio d'anni appassionati e votati unicamente alla scoperta e all'esplorazione di questi luoghi magnifici, pieni di fascino e ricchi di storia.
Nonostante il meteo in questo periodo sia variabile e incerto, decidiamo di salire domenica 13 ottobre, giornata che con un buon margine previsionale non dovrebbe riservarci cattive sorprese. Infine le ultime incertezze vengono dissipate dalla determinazione di fare l'escursione prima del cambio d'orario.
Così, partito dalla Calabria raggiungo Massa sabato pomeriggio del 12 e il giorno successivo, come pianificato ci diamo appuntamento zona Carrefour alle 7 per proseguire alla volta del piccolo borgo di Vinca, frazione di Fivizzano dove ci aspetta anche Mario. Prima di giungere a destinazione, la stretta Via Poggiolo percorsa in auto già ci introduce in un ambiente assolutamente dolomitico dominato da oscure forre boscose e pilastri di roccia impressionanti.
Trovato parcheggio nei pressi della piazzetta intitolata ai martiri di Vinca trucidati dai nazisti tra il 24 e il 27 agosto 1944, ci avviamo tra le stradine del paese fino ad imboccare il sentiero procedendo in modesta salita all'interno di un rigoglioso castagneto. La giornata è grigia e umida ma non fredda. Successivamente entriamo in una pineta e superiamo un primo bivio sulla sinistra per la Sella di Altana. Dopo un secondo bivio la salita si fa più ripida. Ad un terzo bivio lasciamo a destra l'inizio del Sentiero Attrezzato Piotti e proseguiamo sulla sinistra raggiungendo rapidamente la Foce dei Lizzari a 1284 m. di quota. A sinistra sorge invece la Punta di Nattapiana che dà il nome alla cresta.
Breve sosta per indossare imbrago e caschetto e attacchiamo subito la paretina rocciosa sulla destra per portarci in cresta, superando qualche passo di I grado. Il panorama da qui è già notevole sul Garnerone e sul monte Sagro la cui sommità è avvolta dalle nebbie. Seguendo sempre il filo di cresta iniziamo la percorrenza della Nattapiana giungendo alla base del primo risalto delicato rappresentato dal monte Bardaiano (1407 m.). Ne risaliamo dapprima la sommità in leggera esposizione e poi, oltre il punto più alto e dopo un breve tratto affilato ed aereo giungiamo alla prima sosta che ci consentirà di preparare una prima calata di 12 metri. Intanto un vento insolente che soffia da sud ovest oltre a sferzarci rende problematico il getto della corda doppia.
Dalla selletta alla base della calata proseguiamo superando un ripido tratto roccioso caratterizzato da una spaccatura nella roccia che risaliamo direttamente (III-). Guadagniamo così un risalto roccioso dal quale operiamo la seconda doppia di pochi metri lungo una placca liscia.
Dopo alcuni aggiramenti sulla destra prestando attenzione a spuntoni di roccia instabile (II+) e qualche passaggio esposto giungiamo alla terza calata di circa 20 metri, la più bella che ci deposita su una forcella al di sotto di un caratteristico buco tra le rocce. Dopo quest'ultima calata leviamo l'imbrago e riponiamo il materiale negli zaini.
Ora bisogna arrampicare una paretina delicata di II+ fino a raggiungere la sommità di Monte Abeta (1487 m) che valichiamo. Il panorama diventa sempre più impressionante sulla parete nord del Pizzo d'Uccello mentre sotto di noi abbiamo i Cantoni di Neve Vecchia, le bianche cave del Cantonaccio e più in lontananza il lago di Gramolazzo. Ad ovest appare anche il Golfo di La Spezia che si intravede tra le nubi, mentre a sud giace il piccolo borgo di Vinca immerso nel verde.
Dopo un tratto agevole e camminabile quasi in piano traversiamo fino alla base di un pilastro roccioso verticale che iniziamo a risalire direttamente, su erte rocce poco sicure ed esposte aiutandoci anche con le mani aggrappandoci al paleo. A monte di questa guglia proseguiamo senza difficoltà lungo un traverso portandoci su una forcelletta fino alla quota 1651 m. dove ci aspetta l'ultimo spettacolare tratto di cresta. Qui il Pizzo si mostra nel suo profilo più bello e slanciato come una freccia aguzza verso il cielo con la sua paurosa parete nord alta 700 m. In direzione nord est è ben visibile la via ferrata Tordini Galligani che con uno sviluppo verticale raggiunge Foce Siggioli. Chissà, forse sarà per un’altra volta.
Si traversa ora in diagonale verso destra lungo un complesso di placche che caratterizza l'invaso, raggiungendo lo spallone sud ovest. Il traverso si compie su esilissima cengia aerea che inizia nei pressi di rocce giallastre dove compare un cavetto d'acciaio arrugginito molto approssimativo, agganciato a degli spuntoni vecchi e malmessi più che altro psicologici. Raggiunto lo spallone si prosegue sulla sinistra dove la nebbia accompagnata da una lieve pioggerella comincia ad avvolgerci.
Superando tratti di erte roccette, pietrisco e instabili canalini ghiaiosi che richiedono ancora attenzione (I/II) riguadagniamo l'ultimo tratto di cresta, e senza più difficoltà, dopo poco più di cinque ore tocchiamo finalmente i 1783 m del Pizzo. Il panorama superbo della vetta oggi purtroppo è azzerato causa nebbia. Ci accontentiamo di ciò che abbiamo contemplato durante l'attraversata.
Dopo il meritato panino, l'immancabile selfie di gruppo e una dedica nel libro di vetta iniziamo la discesa per la via normale che tanto normale poi non è. Passaggi tra roccette e stretti camini accidentati in discesa richiedono sempre la dovuta attenzione e piede fermo. Guidati da effimeri segni blu che ci fanno toccare prima l'anticima, sempre immersi nella nebbia, scendiamo poi alla Foce del Giovetto a 1504 m passando per i boschi che ormai hanno assunto i tipici colori dell'autunno.
Il panorama maestoso e severo sui contrafforti delle Coste d'Abeta con la Cresta del Garnerone e il "Gobbo" in bella evidenza che gioca con le nebbie, mi ricordano tanto la discesa dal monte Corvo sul Gran Sasso di qualche anno fa. A lato valle in lontananza si scorgono le colline e i boschi che si perdono in un mosaico di colori caldi e avvolgenti, mentre le cime delle montagne sono nascoste da una coltre bianca che sembra sospesa a mezz’aria, sfumando i contorni e rendendo tutto più evanescente.
Dopo aver superato le Capanne di Giovo il sentiero si insinua in una fitta macchia fino ad entrare prima nel bosco di pini e faggi e poi di castagni. Nei pressi della cappella S.Maria Ausiliatrice facciamo un'ultima sosta prima di concludere il cammino attraversando Canal Doglio che scorre tra immani placche rocciose prima di rientrare a Vinca chiudendo questo spettacolare giro ad anello.
Un ringraziamento sentito a Massimo, Elena e Mario per la disponibilità ad accompagnarmi, rendendo la gita istruttiva, interessante e piacevole, che sia di buon auspicio ad una prossima avventura nella splendida terra delle Alpi Apuane.