Il Cozzo del Pellegrino con i suoi 1987 m di altezza ha il duplice "difetto" di essere la vetta più alta dei monti d'Orsomarso (Parco Pollino) e di trovarsi a poca distanza del mare. Questo "felice" connubio fa si che per gran parte dell'anno attiri come una calamita le masse d'aria umida provenienti dal freddo Tirreno a ovest. Quando queste correnti incontrano la dorsale montuosa, si condensano e una volta giunte allo spartiacque, sul lato sottovento, vengono fermate come un muro dall'alta pressione e dall'aria più secca.
In poche parole non è raro salire questa montagna immersi in una fitta nebbia che stanzia beata soprattutto nelle ore pomeridiane. E allora perché cercare di immortalare il tramonto se le previsioni meteo danno nuvola col sole? Bisogna capire da che parte si trova la nuvola e da che parte il sole. Purtroppo mentre mi avvicino a San Donato di Ninea, quella coltre grigia e compatta sul Pellegrino in arrivo da ovest sembra non darci molte chance.
D'accordo con l'amico Pasquale il pomeriggio di domenica 29 settembre decidiamo di partire ugualmente con la speranza che al tramonto, il cielo si possa aprire, come spesso accade dopo una giornata nuvolosa, regalando scenari mozzafiato.
Si spera anche di portare a casa qualche porcino visto che ultimamente in alcune parti d'Italia frotte di fungaioli eccitati ma pure incauti, come squali famelici che si avventano sulle prede litigano per accaparrarsi i prelibati miceti, tanti se ne trovano. E invece individuiamo solo uno sparuto gruppo di sconsolati mazzatamburi a Valle Lupa lasciati in loco a fare compagnia a quattro cavalli che pascolano placidamente.
Un aspetto positivo è che, salendo prima in dura erta verso La Calvia e poi seguendo il crinale che la collega al Pellegrino, abbiamo un primo assaggio d'autunno con i faggi che iniziano a tingersi dei tipici colori stagionali. Poi tra le nebbie di vetta, qualche timida schiarita del cielo con vista mar Jonio inizialmente ci illude, per farci definitivamente rinunciare ad attendere un tramonto che, in ogni caso non ci sarà.
Infine, attraversando ampie distese di felci e sambuchi, rientriamo con un percorso ad anello da dove eravamo partiti, nei pressi dell'accogliente rifugio omonimo che ospitava diversi visitatori, adesso avvolto dall'oscurità. E il tramonto? Magari la prossima volta.
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