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Attenzione: per alcune escursioni è possibile scaricare le tracce GPX in basso dopo il testo!!

lunedì 7 luglio 2025

Anello Pettoruto Artemisia fiume Rosa

Escursione questa di domenica 29 giugno che offre una triplice chiave di lettura: storica, archeologica e antropologico-religiosa. Elementi profondamente intrecciati tra loro, in un contesto ricco di fascino e avvolto da un velo di mistero.

A SanSosti, nell'area nota come “Pettoruto” (dal dialetto “petruto”, cioè “pietroso, irto di pietre”), sorge oggi il bellissimo Santuario della Madonna del Pettoruto. Tuttavia secondo gli studiosi l'area era frequentata già nel VI sec. a.C. come luogo di culto dedicato ad Hera, dea della fertilità, del matrimonio e della famiglia.


A conferma di ciò, nei pressi della località Casalini di Porta Serra, nel 1846 venne alla luce un reperto straordinario: un’ascia votiva in bronzo, datata intorno al 520 a.C., ornata da un’incisione in greco antico. Conservata oggi al British Museum, l’ascia reca una dedica solenne: “Sono sacra a Hera. Offerta votiva di Kyniskos, figlio di Philodamos, a Hera.”


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo oggetto semplice ma carico di significato rappresenta una testimonianza tangibile del sincretismo tra i culti greci e le pratiche religiose locali. La devozione alla dea Hera, impressa nel metallo, si intreccia idealmente con quella, molto più tarda, alla Madonna del Pettoruto, rivelando una sorprendente continuità del sacro. Questa è una delle tante “eredità nascoste” nel Sud Italia, dove i segni del divino attraversano i secoli, pur cambiando nome e forma.


Infatti un tempo la valle del fiume Rosa era una fiorente e battuta via istmica che congiungeva il Tirreno allo Ionio. È preciso il riferimento di Plinio e Strabone, i quali affermano che Bocca (Varco) del Palombaro e fiume Rosa erano le normali rotte che congiungevano Sibari (Jonio) e Laos (Tirreno) tuttora esistente e abbondante di resti che testimoniano la presenza greca.


Con Pasquale partiamo alle 6:40 dal piazzale del santuario, approfittando della frescura mattutina per affrontare il primo, impegnativo dislivello di circa 600 metri. Ci incamminiamo lungo il sentiero 601B, che in poco più di un’ora ci conduce ai ruderi di Artemisia, in località Casalini, a quota 869 metri.


Il percorso è piacevole e rilassante, immerso nell’ombra del bosco misto di lecci, querce, pini e frassini, cespugli di campanula cochleariifolia e qualche esemplare di giglio di San Giovanni, nonché praterie di felci che ci accompagnano passo dopo passo.


I pochi ruderi del sito archeologico, ricco di ritrovamenti, raccontano la storia di Artemisia come luogo strategico, sacro e abitato, che ha attraversato ere differenti: da villaggio neolitico a centro di culto grecoantico, fino a comunità fortificata medievale. Oggi rappresenta una memoria collettiva, ricca di archeologia e tradizione.


Il panorama che si apre da questo luogo incantevole è semplicemente straordinario: la vista abbraccia l’intera valle del Rosa e si spinge fino alle scenografiche quinte montuose che si susseguono dal Montalto al Cozzo della Civarra, passando per le cime del Fazzati, di Serra Scodellaro, della Mula e della Muletta. Proseguendo oltre, il sentiero si congiunge con la strada sterrata che sale dalla frazione Fravitta di San Sosti, costeggiando il versante settentrionale del boscoso Monte Prezzamano.

A quota 1150 metri si raggiunge la quota più alta dell'escursione, un autentico balcone naturale, da cui si gode di una vista mozzafiato sulla Montea, con le sue creste aspre e selvagge, sui dirupi di Pietra dell'Angioletto e sul Campicello, un piccolo pianoro coltivato a ortaggi, incorniciato da vivaci fioriture di papaveri.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Superiamo poi il bivio per Pietra Portusata, una grande formazione rocciosa calcarea caratterizzata da una cavità o un foro naturale, uno scenografico monumento naturale che si erge alle pendici nord-orientali della Montea. Meta di escursionisti audaci, è celebre per la sua singolare forma che ricorda un teschio rovesciato, con un suggestivo arco naturale nella parte inferiore che sembra evocare un occhio.


Cominciamo adesso la discesa verso il Varco del Palombaro tagliando il fianco settentrionale della Montea, dove proseguendo all'ombra della rigogliosa faggeta rinveniamo anche una piccola provvidenziale sorgente di cui ignoravamo l'esistenza. Superato l'attacco alla Gravina del Diavolo, raggiungiamo il punto in cui bisogna rintracciare un passaggio che ci permetterebbe di arrivare ai "Capi di Rosa", sorgente dell’omonimo fiume.


Dopo un primo tentativo fallito a causa della vegetazione impenetrabile e dei rovi che sbarrano il cammino, con un articolato aggiramento, rientriamo nel sentiero principale e risaliamo più in alto, dove sulla mappa è segnata una traccia CAI tratteggiata che si stacca poco prima del Varco e scende a Capi di Rosa.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Purtroppo, la musica non cambia. Il sentiero, ormai privo di manutenzione da tempo è quasi del tutto ostruito da rovi, ginestre e arbusti che rendono arduo il passaggio. Di tanto in tanto compare qualche segno bianco rosso che in parte ci rincuora, ma in mezzo a questo inferno siamo costretti ad aprirci la strada a colpi di bastone. Quanto avremmo desiderato avere con noi un machete o almeno una roncola per ripulire il sentiero.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


      Per circa 700 metri è una vera e propria battaglia sotto il sole cocente, ma infine, seguendo con attenzione le labili tracce di camminamento, provati e graffiati dalle spine, riusciamo a raggiungere la testata valliva del fiume Rosa. Dopo una pausa rigenerante all’ombra dei faggi e una ricarica energetica a base di fichi ripieni alle mandorle, che il buon Pasquale non manca mai di portare con sé, iniziamo la discesa nel letto del fiume, che nel primo tratto appare completamente asciutto.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Rosa è una delle gole più belle, ma anche tra le più accessibili del Pollino, poiché non richiede attrezzature da canyoning o torrentismo. Anche se di tanto in tanto dobbiamo mettere i piedi in acqua per guadare, il cammino si snoda lungo le sponde del fiume, ora a destra, ora a sinistra, permettendoci di proseguire senza particolari difficoltà.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche il bellissimo salto che incontriamo a circa metà percorso viene agevolmente aggirato sulla destra. Durante la discesa attraversiamo angoli di straordinaria bellezza, immersi in un fitto bosco di faggi, ontani e tassi. Il paesaggio è arricchito da caratteristiche formazioni rocciose stratificate, piccole cascate, fenomeni carsici di permeabilizzazione e torrenti laterali che si gettano nel corso principale. Il tutto è dominato da imponenti pareti verticali, incise e modellate dall’erosione, che si ergono per oltre 700 metri, con lastroni di roccia in bilico sull’abisso.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ammasso tufaceo noto come “l’Antro della Maschera”, che ricorda nella forma una maschera da guerriero medievale, segna quasi la fine del nostro lungo e avventuroso cammino prima di incontrare alcune strutture turistiche per pic nic sulle sponde del fiume. Con l’ultimo tratto di asfalto in salita, risaliamo fino al santuario, chiudendo così i 21 chilometri di questo straordinario anello escursionistico/torrentistico.


E, per non farci mancare nulla, concludiamo la giornata con una breve deviazione verso la pittoresca cascata di Fra Giovanni, situata più a valle, un angolo suggestivo e molto amato, frequentato da pellegrini e visitatori diretti al santuario, dove l’acqua scorre tra muschi e rocce in un’atmosfera di quiete e freschezza.


Una giornata davvero intensa, tra natura selvaggia, bellezze nascoste e fatica condivisa, che ci lascia negli occhi e nel cuore il ricordo di un'ulteriore gratificante esperienza in terra di Calabria.




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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