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lunedì 24 luglio 2023

Montea in notturna

Parto da una riflessione di Sara Bonfanti,l'escursionista che l'anno scorso percorse l'intero sentiero Italia da Muggia a Santa Teresa di Gallura in sette mesi: "l'Appennino non è mai banale,le quote sono più basse ma l'ambiente è sempre montano".



Quant'è vero per la Montea,considerata la regina delle montagne calabresi. Qui' ti rendi conto che niente è banale,scontato.Severa,impervia e tormentata è una montagna non per tutti,di difficile scalata in ogni versante  e colpisce per la sua morfologia, il suo isolamento e la sua natura selvaggia. Dal suo lunghissimo  crinale  precipitano vertiginose pareti rocciose che si tuffano nelle valli sottostanti,separate da profondi crinali e dirupi.A motivo di queste caratteristiche è una delle vette preferite dagli alpinisti del sud Italia. Rientra inoltre nella parte più meridionale dell’areale del Pino Loricato ed' è un sito di Interesse Comunitario.




La Montea l'ho praticamente salita in tutte le stagioni e per tutte le vie ma mai di notte. Le temperature infernali di questi giorni che scoraggiano escursioni diurne suggeriscono tali alternative. Occasione dunque per andare a cogliere l'alba in vetta su questa magnifica montagna per la prima volta.Così con Pasquale si parte dal borgo di San Sosti dove ci ritroviamo alle 22.30 per dirigerci con una sola auto alla volta di Sant'Agata d'Esaro.Presa la strada montana parcheggiamo ad'una baracca chiamata "Nido dei Falchi"a quota 850 m.



In poco tempo raggiungiamo prima il rifugio Le Vasche e poi la radura di Fontana Cornia,vera base di partenza per queste ascensioni ma solo per chi è fornito di fuoristrada.Ad accoglierci c'è un nugolo di cani  che guardinghi abbaiano a difesa di un paio di mucche facendo un baccano infernale finché ci allontaniamo definitivamente. Olttepassata la fontana imbocchiamo un sentierino invaso da felci che più in alto e dopo diversi tornanti si innesta al crinale principale,quello che dovremmo seguire fino in vetta.



La notte è buia e senza luna, e nell'aria c'è un tasso di umidità elevato che fa sudare tanto. Purtroppo commettiamo un piccolo errore nel seguire la traccia che ci porta su un terreno ripido, scosceso e invaso da una fitta vegetazione. Infine però,dopo una bella ravanata nel bosco sbuchiamo dove volevamo e cominciamo  l'impervia salita prima in faggeta,poi allo scoperto per affrontare una prima dura rampa su roccette.




Ma è solo l'inizio.Infatti, dopo aver guadagnato un poggio molto panoramico ci riposiamo un attimo per riprendere in forte salita un crinale erboso fino ad incontrare un caratteristico monolito che sta a guardia del lunghissimo crestone principale.



Da questo punto inizia un infinito saliscendi,tra pini loricati e passaggi aerei in cresta fino alla sella che ci separa dalla cima sud. Ogni tanto facciamo qualche pausa per riprendere fiato e fotografare il firmamento con la via lattea in bella evidenza.Inoltre vediamo sorgere ad est quel che rimane della luna calante,un rosso e sottile spicchio che emerge dal mare,mentre all'orizzonte una densa coltre afosa ricopre le terre basse e le coste del Tirreno.



Finalmente dopo una bella pettata che ci porta prima su due anticime conquistiamo la cima sud quotata 1785 m, ma sono soltanto le 3.50 ed e' ancora buio pesto. Per l'alba occorre aspettare quasi due ore. Decidiamo così di farci una dormitina per recuperare un po' di sonno perso e successivamente portarci anche sulla cima nord.



Comincia ad albeggiare, così prima del sorgere del sole piazzo la action cam col cavalletto e nel frattempo,dopo un paio di scatti verso l'orizzonte ci avviamo verso la cima nord immortalando il sorgere del sole strada facendo tra pini loricati,strane e tormentate rocce e passaggi esposti su paurosi dirupi. Con attenzione affrontiamo l'ultima rampa,ripidissima e scivolosa per la presenza di pietrisco e infine ci portiamo ai 1852 m della vera cima di Montea o Cima Nord.



Paesaggio unico e spettacolare sul litorale tirrenico, il Golfo di Policastro e le altre cime aguzze dello stesso gruppo,la Castelluccia,il Cannittello,il Faghittello e poi La Caccia e il Petricelle.Nel frattempo il sole è già sorto dai pendii più morbidi della Mula.


Dopo le foto di rito non ci resta che tornare e recuperare la cam che nel frattempo ha fatto il suo egregio lavoro.Adesso, prima che il sole si innalzi troppo,molto velocemente ripercorriamo a ritroso tutto il crestone.La discesa ripidissima è una picchiata che spacca le ginocchia ma infine troviamo un po' di riposo solo nell'ultima parte di sentiero che ci porta all'auto.







domenica 2 luglio 2023

Monti Lattari Attraversata inegrale dei Tre Pizzi Monte Sant'Angelo

Questa uscita fa seguito all’ascensione alpinistica della cresta sud ovest della Conocchia fatta due anni fa con Falk. Volevamo in realtà proseguire anche con l’attraversata dei Tre pizzi Monte Sant’Angelo ma ci rendemmo conto che sarebbe stata molto lunga, considerando i tempi di rientro all’auto e il viaggio di ritorno di circa tre ore. Così rinviammo il tutto all’anno successivo in data da destinarsi. Sono invece trascorsi due anni ma adesso domenica 18 giugno, prima che irrompi il gran caldo siamo di nuovo qui’ con una cordata inedita. Oltre Falk si aggiungono Pasquale e per la prima volta Michele. Lo scenario è la splendida Penisola Sorrentina e il massiccio è quello dei monti Lattari.



“Il Monte Sant’ Angelo a Tre Pizzi, un tempo Mons Aureus, era noto nell’antichità per il culto di S. Michele che si celebrava, fino alla seconda metà del XIX sec., in una chiesetta (fondata nel VI-VII sec. dai santi Catello e Antonino e oggi non più esistente) sulla cima, denominata appunto Monte (o Punta) S. Michele o Il Molare. Si tratta della maggiore elevazione della catena dei Monti Lattari, la dorsale che attraversa la Penisola Sorrentina da ENE a WSW. Il gruppo sommitale è formato come suggerisce il nome da tre cime, disposte da NW a SE: il Molare (1443m) così denominato per la sua forma squadrata, il Monte di Mezzo o Canino (1426m) e il Catello (dial. Catiello) o Cardara o Incisivo 1393m.” (Francesco Raffaele)



La giornata è soleggiata ma gradevole con temperature che non vanno oltre i 24 gradi. Dopo un articolato viaggio in auto attraversiamo la caotica Castellammare di Stabia e i centri di Vico Equense e Moiano con le loro frazioni. Risalendo la strada montana tra strette stradine trafficate e infiniti tornanti immersi in un paesaggio da “Signore degli anelli” raggiungiamo finalmente le pendici di monte Faito parcheggiando infine presso il rifugio S. Michele chiuso.



Benché sia a carattere prevalentemente escursionistica, l’attraversata integrale dei Tre Pizzi impone l’utilizzo di corde e attrezzatura alpinistica per via di due calate obbligatorie che vanno effettuate nella parete nord est del Molare. Facoltativamente si può includere l’arrampicata di uno dei due spigoli, W o SW con difficoltà che vanno dal IV al VI-.



Così ci avviamo lungo il sentiero Italia “Alta via dei Monti Lattari 7” o “Sentiero dell’angelo” fino a raggiungere la forcella tra lo spigolo SW del Molare e l'ultima propaggine della cresta nord della Conocchia. Prima però operando una breve digressione guadagniamo uno scenografico arco naturale dal quale si apre un fantastico panorama sulla Penisola sorrentina, Capri e l’isolotto “Li Galli”.



Girando a sinistra ci troviamo direttamente sotto lo spigolo W del Molare che oltrepassiamo. Proseguendo sul sentiero della "via normale" ci portiamo sotto il più facile spigolo SSW, 30 m con difficoltà di IV, un passo di V- più 15 metri di II. Falk e Michele decidono di scalarlo e questo ci porta via un’ora e mezza buona; in quattro avremmo dilatato eccessivamente i tempi per il resto dell’attraversata. Così io e Pasquale preferiamo raggiungere i 1444 m della cima per la normale e attendere che i compagni completino l’arrampicata e ritrovarci tutti sull’anticima dove sorge un pilastrino in cemento.



Il panorama dalla vetta è superlativo dominando l’area metropolitana di Napoli col suo golfo e il Vesuvio in bella evidenza. A sud’ est si allunga l’intera Penisola sorrentina mentre a est nord est si elevano i Picentini e gli altri monti dell’Irpinia. Peccato soltanto che il paesaggio all’orizzonte sia offuscato da una tenue foschia.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ai fini della prima calata Individuiamo la prima sosta, un cordone rosso in clessidra, attrezzata in una posizione molto scomoda. Guardando dritto l’affilata cresta ovest del Canino dobbiamo infatti scendere in direzione est per qualche metro su ripido, esposto ed infido terreno erboso. Fidandoci della relazione ufficiale che parla di una calata di 15 metri, utilizziamo una mezza corda da 60.



Mi calo per primo e mi deposito su un terrazzino erboso. Gettando la doppia dritto vedo però che non arriva giù. Bisogna invece proseguire lungo uno stretto canalino a sinistra, sporco, con roccia rotta e invaso da fastidiosi arbusti. La calata in totale non sarà di 15 m bensì il doppio,30 metri precisi. La corda termina a filo su di un’esilissima cengia espostissima che aggira un gendarme roccioso fino a terreni più tranquilli, un'ampia cresta e poi su un largo terrazzo erboso, la testata della successiva calata.



Qui’ non riusciamo ad individuare la nuova sosta di calata, attrezzata qualche anno fa da Cristiano Iurisci. Solo dal basso vedremo che era posta all’ estremità della cresta in una posizione alquanto pericolosa da raggiungere, se non esponendosi con grande attenzione e piede fermo, che avrebbe consentito la calata lungo lo spigolo est. Ci avvaliamo così di un’altra sosta, un masso con cordone rosso che permette di raggiungere la base della parete calandosi per 45 metri e non 30 come afferma la relazione. Fortuna vuole che dopo mio suggerimento ci siamo portati dietro due mezze corde da 60 che abbiamo congiunto con un nodo “galleggiante”.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal cordone rosso ci caliamo seguendo come guida un cordino fisso bianco su roccia e terreno erboso sporco anch’esso invaso da alberelli fino a depositarci alla base della parete nel bosco. Aggirando lo spigolo guadagniamo infine la sella Castellano tra il Molare e il Canino.



A questo punto saliamo in libera su roccette (III-) lungo il filo di cresta del Monte di Mezzo o Canino oppure sfruttando più facili canalini obliqui a destra della cresta. Infine raggiungiamo i 1426 m. della cima dove compare invece della solita croce, un palo dritto. Mi viene in mente il polverone sollevato in seno al CAI sulla rimozione delle croci di vetta dalle nostre montagne che ha tra l’altro provocato le dimissioni del direttore editoriale e responsabile delle attività del Cai Marco AlbinoFerrari,e il curatore del sito internet Pietro Lacasella.Chissà come andrà a finire.



E mentre la vita mondana scorre lungo la costiera amalfitana e dopo le foto di rito ci apprestiamo a scendere dal Canino mantenendoci più o meno sul filo di cresta, sfruttando la roccia più solida. Optando per il percorso migliore seguiamo tracce di sentiero lungo la ripida cresta est, a volte in libera disarrampicando per qualche metro fino alla sella tra il Canino e il Catello, detta ancheBocca dell’Inferno”.



Molto interessante osservare durante la discesa dal Canino una stretta fenditura che taglia di netto il fianco della propaggine ovest del Catello detta "Vena Spaccata"e la poderosa “frana staccatasi il 3-4 gennaio 2002 dalla sua spalla SSW, rovinando con brecce di massi incanalatasi in due rami nord-orientali dell’alto Vallone Porto che 2 Km più giù sfocia in mare ad Arienzo, poco a E di Positano.



Per raggiungere l’ultima cima ci sono due possibilità: risalire direttamente la cresta liberamente scegliendo il percorso migliore superando passi di III oppure seguendo il sentiero che taglia il fianco nord est della montagna che porta in vetta. In ogni caso conquistiamo anche i 1390 m del Catello o “Cardara” dove troviamo alcuni escursionisti giunti da Agerola lungo la via Paipo con i quali scambiamo quattro chiacchiere.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo spettacolo che offre il blocco monolitico dei Tre pizzi da questo punto di osservazione è grandioso. Dal Catello inoltre il paesaggio si estende verso nord-est sulle cittadine di Agerola e Bomerano. Dopo aver conquistato l’ultima delle cime di questa spettacolare attraversata pensiamo al ritorno che non sarà proprio una passeggiata.



 

 

Dalla cima del Monte Catiello proseguiamo verso est scendendo per circa 50 o 60 metri lungo la cresta nordest e svoltando nettamente a sinistra, imboccando un sentierino poco evidente che riporta alla Bocca dell’Inferno, il valico tra il Monte di Mezzo e il Monte Catiello. Al passo si gira a destra e si inizia a scendere direzione nord su esili tracce di sentiero alquanto malmesso e disagevole verso il bosco fino ad un netto cambio di direzione a ovest. Aggirata tutta la base di Canino, il sentiero inizia a salire verso le pareti del Molare, dove una piccola rampa con rocce un po’ scivolose conduce all’inizio del così detto “Sentiero Pericoloso” o Scalandrone segnalato da un cartello di legno su un albero.



Anche il “Sentiero pericoloso” richiede una certa dose di attenzione, specialmente in condizioni di terreno bagnato nei tratti in discesa per il rischio di scivolare verso il ciglio di alte pareti verticali a valle. Ad un certo punto invece di seguire il sentiero segnalato da una S e un segno rosso su una paretina ci lasciamo ingannare da una evidente traccia più in basso che cominciamo a seguire. Essa porta però, dopo aver percorso la base di una spettacolare parete verticale al cosiddetto “Passo del Lupo” o Malopasso, una esilissima cengia espostissima e pericolosa da evitare assolutamente. Resoci conto dell’errore torniamo sui nostri passi per riprendere la retta via.



Seguendo la traccia di quest’ultimo per circa 300m, si incontra un secondo cartello con la stessa scritta ”Sentiero Pericoloso” in quattro lingue, dopo il quale si imbocca il sentiero dell’andata che riporta al punto di partenza presso il parcheggio del Rifugio San Michele.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindi l’intero percorso eccettuata la salita alpinistica allo spigolo SW penso si possa classificare EEA, ovvero escursionisti esperti con attrezzatura, capaci inoltre di mettere le mani sulla roccia, superare passi elementari di arrampicata e muoversi lungo sentieri ostici ed esposti.L’ultima impresa sarà quella di percorrere in auto la strada panoramica di Vico Equense e poi attraversare Castellammare di Stabia praticamente congestionata dal traffico prima di prendere la Salerno Napoli e tornare a casa dopo tre ore e mezza di viaggio.



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