LA VALLE
DELL’ARGENTINO. Non ci sono parole nel descrivere lo spettacolo che si incontra
entrando in quello che è stato classificato come il cuore ecologico del
Parco,una delle più grandi ed affascinanti aree Wilderness d’Italia,il regno
del verde e dell’acqua,ambiente intatto e incontaminato,anima selvaggia del
Pollino. E’ un vero laboratorio a cielo aperto in quanto vegetano più di 800
specie botaniche,indice di grande biodiversità. Nelle acque limpidissime e
fredde del fiume vive la lontra e si rifugia la trota. Nel suo areale vengono
seguiti alcuni branchi di lupo e un discreto numero di caprioli,qui considerato
autoctono,unica specie geneticamente pura di capriolo italiano.
La natura
carsica del paesaggio ha creato formazioni calcaree modellate
dall’erosione,aerei e strapiombanti crestoni,guglie e pinnacoli rocciosi come
Castel Brancato e Corno Mozzo e dirupi vertiginosi come i Crivi di
Mangiacaniglia e delle Falaschere;un disordinato ventaglio di creste e voragini
dove sopravvivono creature gigantesche che sono tra le più sorprendenti
abitatrici di questi luoghi:faggi e pini loricati che si staccano da terra e
raggiungono altezze di venti,trenta metri. Per me la foresta pluviale
amazzonica immersa nei torrioni andini di Macchu Picchu.
Dopo la
“sbornia” del Monte Cervino e una breve pausa per digerire quella fantastica
avventura riprendo un po’ a fatica nell’andare per monti. La meta:il “Corno
Mozzo”,una piramide rocciosa dal quale si domina per tutta la sua lunghezza la
Valle dell’Argentino fino al mar Tirreno dove si scorge l’abitato di Scalea. Un
balcone panoramico di eccezionale bellezza. Dalla sua sommità la vista spazia
dal Timpone Fornelli che precipita verso il Varco della Gatta,laddove si
uniscono le due fiumarelle di Tavolara e Rossale dando vita all’Argentino ,al
maestoso Cozzo del Pellegrino il cui versante settentrionale è interamente ricoperto
da fitte foreste di faggio.
Lo sguardo
si perde poi lungo la sinistra idrografica dell’Argentino dove dalle vette di
Timponi Camagna e Garrola precipitano selvaggi costoni di roccia fino al fondo
valle. Più giù la piramide di Castel di Raione,un altro eccezionale balcone per
osservare nella sua interezza la Valle. Verso destra invece i precipiti Crivi
di Mangiacaniglia sovrastati dal Monte Palanuda chiudono il fantastico
orizzonte.
Insieme a
Pasquale intraprendiamo il sentiero che si stacca dal bordo occidentale dello
splendido e soleggiato Piano Novacco risalendo lungo i pendii boscosi della
Serra di Novacco.Giunti al valico si ridiscende un pendente canale che ci
porterà ad intersecare la sterrata proveniente da Mare Piccolo e che conduce
alla misteriosa Pietra Campanara,un monolito alto 30 metri,perfettamente
colonnare posto a guardia del Vallone Fornelli. Da qui la prosecuzione lungo il
sentiero per il Palanuda ma la deviazione che bisogna effettuare per
raggiungere Corno Mozzo non è di facile decifrazione né segnalata, ed immersi in quella fitta foresta senza punti
di riferimento è facile sbagliarsi tanto che continuando a risalire il fondo
del vallone quasi raggiungiamo l’anticima del Palanuda.Comunque ritornando sui
nostri passi ed intraprendendo un sentiero che si distacca da quello principale
ci ritroviamo ad affacciarci su un piccolo terrazzo perfettamente a strapiombo
sui Crivi di Mangiacaniglia.Panorama mozzafiato. L’errore commesso è stato così
compensato da queste magiche visioni sulla valle. In basso a sinistra si erge
il nostro Corno Mozzo.
In seconda
battuta,ripartendo dalla Pietra Campanara e dopo aver proseguito per un quarto
d’ora ci “buttiamo” nel fondo del Vallone Fornelli e guadagnando l’erta pendice
che ci condurrà sulla cresta principale e proseguendo lungo il suo filo ad un
tratto ecco apparire solitario e misterioso il nostro Corno Mozzo. Spettacolare
la visione da un cocuzzolo roccioso al di sopra di esso. A questo punto ci
trasformiamo da escursionisti ad alpinisti. Indossato il casco discendiamo il
delicato valloncello,molto pendente fino a raggiungere la base del Corno.
Nostra intenzione è chiaramente quella di effettuare l’ascensione ad esso. Ci
rendiamo conto che la roccia è estremamente marcia ed erosa. Indossiamo
l’imbrago e prepariamo corda ed attrezzatura. L’arrampicata lungo un lineare
canalino eroso non sarà agevole a causa del pietrisco e della roccia che si
sbriciola come farina. Riesco a piazzare soltanto una protezione (chiodo a metà
percorso);purtroppo non riesco a metterne
altre perché non vi è nessuna possibilità. Gli ultimi 3 metri risulteranno
alquanto difficili (pietrisco scivoloso e scarsi appigli sicuri)ma alla fine è
fatta. Piazzo la sosta e faccio sicura a Pasquale che risalendo alza un
polverone notevole a causa della caduta di rocce e pietrisco,almeno così
abbiamo pulito un po’ la via.
Forse noi
siamo stati i primi a violare questo singolare roccione perché in vetta non
abbiamo trovato nessuna sosta,cordino e simili per effettuare la calata in
corda doppia,assolutamente obbligatoria,pena un rischio notevolissimo in un
eventuale tentativo di disarrampicata.Infatti per effettuare la doppia ho
dovuto lasciare due anelli di corda (non dinamica) attorno ad uno spuntone di
roccia. Se qualcun altro vorrà effettuare la ripetizione consiglio di
verificare lo stato dei cordini ed eventualmente sostituirli con altri da
“abbandono” o meglio ancora armare una sosta.
1 commento:
Comunque una bella giornata con un panorama mozzafiato!!ciao e alla prossima...
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