Venerdì 18
Agosto mi organizzo per un'altra uscita in montagna e visto che il caldo ancora
imperversa scelgo di partire nottetempo con l'obiettivo di cogliere anche il
sorgere del sole. La destinazione prescelta e' il Monte Manfriana, una vetta
che ha del magico tanto che ai tempi dell’antica Grecia riuscì a catturare
l'attenzione dei colonizzatori. Sbarcando sulle coste calabre dell'alto Jonio
infatti, videro nel profilo di quella cima bifida che si stagliava verso
nord-ovest proprio il Monte Olimpo, patria dei loro dei.
Oggi sulla sua
vetta orientale giacciono venticinque misteriosi massi squadrati datati tra la
seconda metà del V sec e la prima metà del VI sec a.C. Pare che a scolpirli
siano state popolazioni italiote lucane utilizzando però tecniche di
costruzione apprese dai greci, una delle quali detta anathyrosis.
Due sono le
teorie che cercano di dirci la verità su questi misteriosi massi. La prima
riguarderebbe la realizzazione di un luogo di culto in onore del dio Apollo da
cui sembrerebbe trarre origine il nome Pollino. La seconda invece avrebbe a che
fare con una torre di avvistamento militare eretta dai lucani per scopi
militari. Da qui' infatti si domina un'area vastissima che va dal mar Jonio,
guarda tutta la Piana di Sibari e la Sila, i monti di Orsomarso e i valichi
montani. Insomma si poteva controllare la via istmica Jonio-Tirreno. Dopo un
periodo non bene determinato però, i bretti confinanti con i lucani avrebbero
preso e distrutto questo insediamento di notevole importanza strategica.
Che si sia
trattato dei greci o dei lucani, una cosa e' certa, il luogo era azzeccato in
pieno perché la vetta della Manfriana dall'alto dei suoi 1981 m. e'
incredibilmente panoramica. La sua forma piramidale completamente isolata da
altre cime ne fa uno dei luoghi la cui vista e' assolutamente circolare, tanto
che sembra di essere sospesi nel vuoto.
Per l’occasione
contatto un amico al volo con il quale ho già condiviso un'escursione qualche
mese fa. Neanche ad accennare di partire presto per vedete l'alba che mi dice
subito di si. Alla faccia di quelli che un po' ti fanno tribolare quando c'è da
organizzare qualcosa, che ti dicono sempre "organizziamo, facciamo, andiamo"
e poi si tirano indietro perché la zia si è fatta male al dito del piede.
Raggiungiamo la
località di partenza presso Colle Marcione alle quattro. Lampade frontali
accese ci si avvia verso i 1200 m. di Colle della Scala dove bisognerà
abbandonare la sterrata ed impegnare sulla destra la rampa che ci condurrà ai
1719m. della prima cima della Timpa del Principe.
Anche a
quest'ora il caldo afoso si fa sentire e sono davvero contento di non
percorrere questo tratto in mattinata inoltrata quando il sole già picchia di
brutto trattandosi di una pietraia esposta completamente ad est. Il percorso
per raggiungere la Manfrina fa parte della Via dell'Infinito, l'interminabile
cresta che da Colle della Scala raggiunge il lontanissimo Dolcedorme.
Giunti sulla
prima vetta della Timpa del Principe mi accorgo che il sole sta per sorgere
così ci muoviamo per portarci sulla seconda cima a 1745 m. scendendo prima per
un'avvallamento. Ma aimè l'alba ci coglie alla sprovvista proprio nel punto più
basso dove la visuale e' anche coperta dalla faggeta. Allora mi volto correndo
verso la prima cima dove la vista e' più favorevole e tolgo fuori la mia
macchina fotografica con un piccolo treppiede. A causa dell'afa l'alba non è
eccezionale ma in compenso zummando al massimo riesco ad inquadrare il disco
infuocato del sole e grazie ad un ulteriore ingrandimento a casa riesco a
scorgere anche le macchie solari. Un colpo eccezionale ed inaspettato.
Conclusasi
l'operazione alba riprendiamo il nostro cammino lungo l'estetica cresta mentre
i primi raggi di sole tingono di rosa il paesaggio e le cime lontane. Incontriamo
sul nostro cammino i residuati di archeologia industriale della Rueping, la
società tedesca che dal1911 al1933 a
mezzo teleferiche e funicolari devastò
il nostro Pollino causando tagli indiscriminati di faggi e addirittura abeti
bianchi, dei quali rimangono pochi esemplari in aree circoscritte del settore
nord-orientale del Parco.
In quel lasso di
tempo furono tagliate all’incirca 100.000 piante di faggio, risparmiando
soltanto un centinaio di matricine per ettaro. Per fortuna lo scempio fini' in
tempi relativamente brevi e le foreste del Pollino grazie alla notevole
capacità pollonifera dei faggi si ripresero bene. Ora di quegli anni bui
rimangono resti arrugginiti di grossi cavi metallici, di teleferiche e telai di
legno un po' dappertutto nel nostro parco.
Dopo Timpa del
Principe perdiamo momentaneamente quota per affrontare le cimette appuntite
della Serra di Malaverna un po’ nel bosco,un po’ fuori per impegnare subito
dopo la dura rampa finale per conquistare la cima orientale della Manfriana. Qui'
avvistiamo due coppie di aquila reale e questo di per se e' già un fatto
eccezionale. I volatili volteggiano leggiadri nel cielo descrivendo delle ampie
spirali sfruttando le correnti ascensionali e coprendo spazi immensi in pochi
attimi.
Non facciamo in
tempo ad ammirare rapiti questi splendidi esemplari che da est giungono più
coppie di grifoni che in quanto ad apertura alare possono benissimo
competere con le aquile. Spettacolo
assolutamente sublime aggiungendo a questo gli spazi sconfinati della Fagosa e
i pini loricati che dominano incontrastati le rupi più inaccessibili. Purtroppo
uno dei più belli di essi proprio sotto la vetta,da dove più volte avevo
scattato belle foto, lo troviamo bruciato, molto probabilmente colpito da un
fulmine. Poco distante piante più giovani
rilevano il testimone dai più vecchi a dimostrazione che la vita si
rigenera e continua.
Raggiungiamo la
cima alle 8.30,e in tal modo ci prendiamo tutto il tempo per ammirare ed
immortalare i massi squadrati e goderci lo splendido panorama che domina l'orizzonte.
Non ci resta che rientrare ripercorrendo a ritroso l'intero crinale in un caldo
opprimente che sembra non finire più. Tornando ai massi squadrati mi concedo
un'ultima riflessione: che siano stati i greci o i lucani chissà se furono loro
a conquistare queste splendide cime o fu il Pollino a conquistare loro.
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