Noi del
Pollino abbiamo in particolare due motivi di vanto, i pini loricati, patrimonio
Unesco dell’umanita’ e il canyon del Raganello. Quando solcai le sue acque nel
lontano 1998 fu amore a prima vista e tutt’ora, dopo ventun anni mi riempie
ancora di stupore e meraviglia.
Uno dei
luoghi magici dove lo si può abbracciare per intero con lo sguardo percependone
la sua silenziosa potenza, è la Pietra del Demanio, una poderosa rupe alta
circa 800 m.s.l.m. che incombe sull'abitato di Civita a strapiombo sul Ponte
del diavolo. Il luogo è facilmente raggiungibile da Francavilla Marittima
prendendo la strada per Fonte Scosa.
Ma se si
vuole godere di uno scenario ancor più spettacolare bisogna percorrere la Cengia
delle capre. È un vertiginoso camminamento in parte attrezzato che corre lungo
la parete del Raganello per più di due chilometri a 400 metri d'altezza sul
fondo delle gole che serpeggiano placidamente fra le placche modellate
dall’acqua. Guardando verso nord la vista abbraccia l'intero canyon fin su le
timpe di Porace e di Cassano.
Il nome
della via è dato dalla presenza di uno sparuto branco di capre selvatiche che in
questo lembo di territorio arrampica su strettissime cenge superando con disarmante
naturalezza passaggi impossibili. Neanche gli stambecchi credo, oserebbero tali
ardite e acrobatiche evoluzioni.
Con l’amico
Pasquale in un caldo pomeriggio di ottobre ci avviamo per la strada montana che
collega Francavilla Marittima a San Lorenzo Bellizzi. Lasciamo l'auto all'incrocio
con la sterrata che porta a Monte Sellaro e ci avviamo lungo una pista che
porta in breve su un magnifico belvedere ai piedi della Pietra del Demanio. Già
da questo terrazzo panoramico la vista impatta sul piccolo abitato arberesh di
Civita che praticamente sta ai nostri piedi. Di fronte fa da contraltare la
lunga “Tagliata” della cresta di Civita che culmina con la Timpa del Principe. L’ambiente
è quello tipico della macchia mediterranea con i lecci e le ginestre che
tappezzano questo straordinario mondo di roccia.
Dalla radura
si scende verso il ciglio della parete dove si intraprende una labile ma
evidente traccia in discesa tra i cespugli che dà il la a questo vertiginoso sentiero.
Dopo un quarto d'ora si raggiunge il primo tratto attrezzato che ci permette di
superare sempre in discesa una evidente spaccatura fra due falde rocciose. Subito
dopo il camminamento diventa non protetto assottigliandosi incredibilmente con
un baratro di 400 metri perfettamente verticale sul torrente. Qui è richiesta
assenza di vertigini e passo fermo.

Superato
questo tratto delicato la pista diventa meno stretta e più sicura addentrandosi
tra saliscendi ora all'interno di boschetti di leccio, ora su cenge sovrastate
da pareti gialle e rossicce. In altri due, tre punti in forte esposizione
ritroviamo il cavo d’acciaio. Da questa prospettiva privilegiata, utilizzando
tante chiavi di lettura, è affascinante osservare la morfologia di questo
territorio tormentato contemplandone la natura prorompente, un mix tra geologia,
botanica e antropologia.
Dopo aver
fatto volare per un attimo i nostri pensieri, guadagniamo una larga cengia in
forte salita oltre la quale termina la via, interrotta dal canale del Caccavo. Anche
diverse fioriture di crochi, che a queste quote ritroviamo in ottobre, allietano
il nostro incedere.
A questo
punto le due opzioni sono quelle di tornare indietro o arrampicare per una parete
di 40 metri nel punto più comodo. Si tratta di due tiri di venti metri con
difficoltà che non superano il IV grado. In questo caso al kit da ferrata
bisogna aggiungere corda e materiale da arrampicata. Vinta la parete si ritrova
un sentiero che si innesta infine con la rotabile. Da lì dopo un paio di
chilometri si ritorna all'auto.In questo caso preferiamo tornare indietro perché
vogliamo salire anche sulla Pietra del Demanio. Dal suo culmine arrotondato il
panorama si estende anche al monte Sellaro, alla piana di Sibari fino allo Jonio.
C’è da
precisare che ufficialmente il sentiero delle capre è interdetto per via di un
avvistamento avvenuto due anni fa di una coppia di capovaccaio, specie protetta
che “avrebbe” nidificato sulle pareti del Raganello. Visto che si tratta anche di
una specie migratoria che torna in questi luoghi nel periodo che va da marzo ad
ottobre per completare il processo di riproduzione, non vedo perché si debba
chiudere completamente e per tutto l'anno questa fantastica via rendendola
fruibile soltanto per fini di studio scientifico.A questo punto considerato che
le specie in estinzione sono tante e molto diffuse bisognerebbe chiudere mezzo mondo,
a partire dal Gran Canyon perché i 70 esemplari di condor che vivono tra le sue
pareti corrono lo stesso rischio.
A parte
questa piccola parentesi le sensazioni che la via delle capre ci ha lasciato
sono state profonde e cariche di emozioni. Davvero, l’ambiente del canyon del
Raganello, a prescindere da come lo si voglia fare non delude e non si
smentisce mai.
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