Castelgrande è un piccolo comune di circa
800 abitanti, situato nella parte nord occidentale della provincia di Potenza,
al confine con la Campania. Arroccato a 950 metri di quota su uno sperone di
roccia, custodisce nei dintorni due suggestive forre: il Vallone Vivo, poco
distante dall’abitato, e il Varco dei Bagnoli (così chiamata la parte iniziale,
mentre il tratto basso è noto come Varco delle Fauci), considerato tra i canyon
più belli della Basilicata e dell’Italia meridionale.
In presenza d’acqua, l’itinerario alterna
calate, tuffi e scivoli naturali particolarmente divertenti. Dalla tarda
primavera, però, la forra si presenta “fossile”, priva cioè di scorrimento
idrico a causa del forte carsismo che caratterizza l’intera area geografica.
Nonostante ciò, offre in ogni caso un’esperienza entusiasmante di canyoning,
con ben nove discese di corda in successione. Il canyon, molto solare e
luminoso, si inserisce in un contesto naturale di straordinaria bellezza.
Oggi, venerdì 8 agosto l’appuntamento è alle
9.30 davanti al municipio del paese con Gabriele, Agata e Donato. Purtroppo ad
accogliermi ci sono due cassonetti maleodoranti posti di fianco l'unico
parcheggio libero e due gigantografie di Samantha Cristoforetti sulle pareti di
un edificio. Probabilmente la sua immagine è stata associata all’osservatorio
astronomico situato in località Toppo di Castelgrande, a 1.248 metri di quota.
Una scelta legata dunque al tema comune dell’esplorazione dello spazio e
dell’astronomia, anche se a me pare una forzatura.
Dopo i convenevoli di rito e una colazione
al bar vicino, ci dirigiamo verso la località Pietra Longa Varco dei Bagnoli,
dove, nei pressi di una masseria, lasciamo le auto. Indossiamo imbraghi e
caschetti e prepariamo la ferramenta, ma questa volta ci risparmiamo le mute in
neoprene. Per il resto, utilizzeremo l’attrezzatura e le tecniche classiche del
torrentismo.
Mentre percorriamo il letto del torrente asciutto, tra ciottoli e macchia mediterranea, Gabriele, il nostro "leader" (nel canyoning è la guida e l'istruttore responsabile del gruppo) esperto in scienze naturali, ci indica una rientranza su Costa La Manca: la Grotta dei Pipistrelli, un sito protostorico in cui sono stati rinvenuti resti umani. La grotta è raggiungibile attraverso antichi sentieri battuti da Enotri e Romani, ma ancor prima da una antichissima civiltà, i Peuketiantes, popolo indigeno che abitava le aree interne dell'Appennino Lucano. Come gli Etruschi insediati lungo la fascia tirrenica, anche loro hanno lasciato tracce concrete della loro presenza, avvolte però da un’aura di mistero. In destra idrografica della forra si distinguono le eleganti e slanciate guglie rocciose del Monte Giano, la cui elevazione massima tocca i 1033 metri.
Raggiungiamo così il primo salto della
giornata bypassando il secondo per evitare una vasca pensile stagnante. Donato
apre la via e, a seguire, mi calo anch’io in autonomia per circa dieci metri,
tornando al discensore a otto con "vertaco". Quando è presente acqua,
dicono che il salto sia spettacolare, formando una triplice cascata. Pochi
metri più avanti raggiungiamo la seconda sosta, dove è presente un deviatore
che non utilizzeremo. Donato ci illustra comunque il suo funzionamento. Indossiamo
anche guanti da ferramenta, perché l'uso del discensore da torrentismo in
assenza d’acqua può provocare ustioni alle mani.
La roccia è di un calcare bianchissimo e,
quando le vasche sono piene d’acqua, diventano cristalline e assumono tonalità
davvero incredibili. Dopo una breve disarrampicata sui gradini, raggiungiamo la
terza calata, un salto di roccia di pochi metri, molto levigato e concavo,
simile a un cucchiaio, modellato dal continuo scorrere dell’acqua.
La quarta calata, di circa otto metri, e la
successiva, di tre o quattro metri, simile alla precedente ma con sosta su un
albero, scorrono veloci. Ora il letto del torrente cambia morfologia: da un
acciottolato di piccola taglia si passa in prevalenza a grossi massi
arrotondati e ammassati e il canyon diventa più ombroso.
Il sesto salto è il più spettacolare. Si tratta di un intaglio profondo e oscuro di circa quaranta metri su piano inclinato, addossato alla parete di sinistra. La sosta si allestisce a monte di un masso incastrato, sotto il quale è necessario passare durante la calata. Si giunge così alla base di un sifone, impraticabile in presenza di scorrimento per la sua estrema pericolosità. In tali condizioni si evita il passaggio scendendo dal lato destro, predisponendo la sosta sugli alberi. La settima calata attraversa una stretta e infida gola di rocce levigate e massi incastrati, dove è necessario contorcersi, lasciare per un momento la corda e arrampicare sull’ennesimo blocco incastrato.
Mentre il resto del gruppo completa le
manovre, Gabriele si porta avanti per allestire l'ottava sosta su una cengetta.
Il salto è di circa sette metri e corre di fianco uno stretto intaglio. Concludiamo
con la nona e ultima molto simile alla precedente ma più corta. L’uscita dalla
forra si rivela piuttosto impegnativa.
Lasciamo il torrente e risaliamo faticosamente
una ripida pendice boscosa fino a intercettare un antico sentiero, tracciato
dagli Enotri, che corre a mezza costa sul versante sinistro della gola. Da qui
si aprono splendidi scorci panoramici sulle ardite guglie del Monte Giano e sul
primo salto affrontato al mattino, che dall’alto si mostra in tutta la sua bellezza.
Infine raggiungiamo le auto, chiudendo così l’anello.
Prima di salutarci, ci concediamo una
meritata Peroni (e una gassosa) al centro sportivo Serraduvo, dotato di una
splendida piscina e di un campo da tennis. Dopo la lunga, impegnativa e
affannosa discesa del canyon del Galatro nel 2020, questa è la seconda forra
fossile che percorro. Con Gabriele ci siamo promessi di tornare ad aprile, per
discenderla con scorrimento d'acqua dove lo spettacolo naturale sarà ancora più
suggestivo. Allora non ci resta che dire: alla prossima!
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