Mentre i
nostri passi affondano sulla neve restiamo in silenzio. Vogliamo entrare in
punta di piedi in questo luogo sacro quasi col timore di profanarlo. Siamo alle
pendici della parete est di Serra delle Ciavole, rapiti dalla sua tormentata bellezza.
Come un'immensa muraglia e simile ad un'onda travolgente ci chiama e ci invita
a vincerla.

Il Pollino è
tutto incredibilmente bello, ma ci sono alcuni luoghi in particolare che
considero speciali, dei santuari della natura, isolati, selvaggi, impervi. Tra questi
posso annoverare l’anfiteatro del Diavolo del Raganello, la parete sud del
Dolcedorme, l'alpestre Montea regina dell'Orsomarso e appunto il versante
orientale di Serra Ciavole. Luoghi solenni che ogni volta diventano nuova
scoperta, suscitano grandi emozioni.
Ma quest’ ultimo,
forse più degli altri è quello in cui ti rendi conto del senso di isolamento
che incute, anzi incontrare qui un essere umano durante un’ascensione diventa
una scommessa. Tra le insenature e i dedali della parete si sviluppano solo
itinerari arditi, alpinistici, difficili, per gente preparata e motivata che
vede come uniche eccezioni facili le sue estremità, la cresta sud, sudest e la
Grande porta del Pollino.
Abbiamo
voluto in tal modo aprire la nuova stagione invernale col botto andando a fare la
Via dei Moranesi alla quale avevamo rinunciato lo scorso aprile a causa di
condizioni non adatte e dirottando i nostri passi verso il Dolcedorme. La via è
stata aperta il primo marzo 2009, ha uno sviluppo di 400 metri e 60° di
inclinazione max. Rispetto agli apritori che si mossero dalla Masseria Rovitti,
noi abbiamo lasciato l’auto sulla sterrata nei pressi di quella che è chiamata
Fonte di Acquasalata, dove il torrente Vascello incrocia e passa sotto la
strada. Partire da questo punto vuol dire affrontare un dislivello di quasi
mille metri ma soprattutto effettuare un avvicinamento infinito. Si tratta infatti
di attraversare senza soluzione di continuità l’intero bosco della Fagosa lungo
l’asse est-ovest.
La giornata
è perfetta, cielo terso, temperature piuttosto rigide e una discreta ventilazione.
L’unico dubbio resta la quantità di neve presente che sulle pareti verticali
sembra spruzzata. Anche la nord-est del Dolcedorme ci dà questa sensazione, si
notano in effetti le rocce e le praterie che affiorano da uno strato nevoso
piuttosto magro. Sicuramente il forte vento dei giorni precedenti ha
contribuito a spazzare per bene la neve scoprendo alcune zone e creando degli
accumuli altrove. La nostra via essendo leggermente più appoggiata e protetta dovrebbe
aver conservato buone condizioni. Restiamo fiduciosi.
Prima
dell’alba siamo già in movimento e le cime alte del nostro massiccio ancora non
baciate dal sole e in penombra ci osservano lontano. Ci avviamo infreddoliti lungo
la traccia che dalla piazzola va ad intersecare più in alto la strada della
Fagosa. Assistiamo così al sorgere del sole che filtra tra i rami dei faggi e
allo stesso tempo infiamma le pareti del Dolcedorme. Raggiunta la strada della
Fagosa ne percorriamo un tratto fino al bivio da cui si stacca l’altra pista
che dirige a Piano di Fossa. Noi l’abbandoniamo all’altezza del laghetto
ghiacciato dal quale si apre uno spettacolare palcoscenico sull’intera parete
est di Serra Ciavole. Da questo punto panoramico le condizioni delle varie vie
sono ben più evidenti. Abbiamo toccato velocemente i 1500 m. di quota e nel
frattempo, poco prima ha fatto la sua comparsa la neve che alta solo dieci, quindici
centimetri non ci ha rallentato granché.
Dal lago
senza percorso obbligato penetriamo nella solenne faggeta puntando verso il
settore di destra della parete dove parte la Via dei Moranesi. La presenza di
enormi macigni franati giù dalla notte dei tempi ci indica che siamo alla sua base,
seminascosta dai faggi. Usciti dal bosco restiamo estasiati dallo spettacolo
che oggi la natura ci offre. Dirupi, brecciai e canaloni solcano e incidono
profondamente queste pareti calcaree festonate da vetusti esemplari di pini
loricati, alcuni dei quali dalle dimensioni ragguardevoli, creature che amano assolutamente
vegetare nei luoghi più inaccessibili, impervi e isolati.
Ora bisogna
raggiungere il grande anfiteatro e puntare il pino loricato che sorge al centro
dove si diramano la Via dei Moranesi a sinistra e la Diretta nord est a destra.
Bisogna affrontare una bella pettata a 45°per portarsi a ridosso dell'albero, metterci
comodi, calzare i ramponi, tirare fuori casco, picche, corda e imbracarci.
Con lo
spezzone da 20 m che ho con me decidiamo di procedere in conserva lunga perché
le condizioni non sono tali da richiedere dei veri e propri tiri. In questo
tipo di progressione ci si muove simultaneamente, dove il primo protegge nei
punti più delicati utilizzando alla bisogna un fittone, chiodo o fettuccia che
sia, assicurando il secondo col mezzo barcaiolo o facendo passare la corda attorno
ad un tronco o ad uno spuntone se lo recupera. A sua volta il secondo provvede
a rimuovere le sicurezze. In tal modo la cordata procede in maniera più snella
e veloce.

Dal pino
loricato operiamo un traverso a sinistra utilizzando come riferimento il grosso
tronco mozzato di un loricato secco. Riesco ad infilargli un ampio anello di
fettuccia e risalgo la crestina fino allo spigolo della parete di destra dove
metto un “buon”chiodo piatto.Da li mi sposto di nuovo a sinistra per capire
dove andare e raggiungo in tal modo la gobba da cui si dovrebbe scendere per
guadagnare il largo canale centrale. Nel frattempo proteggo mediante fettuccia
sul tronco di un piccolo faggio mentre il compagno raggiunge la parete col
chiodo.
La neve nel
canale però è piuttosto alta e non portante e per risparmiarci una penosa
ravanata col sole che infierisce preferiamo seguire la linea più difficile sul
suo fianco parallelo superando due scalini rocciosi dai quali ci portiamo in
verticale procedendo su inclinazioni che toccano i 55°.Puntiamo decisamente il
grosso pino loricato solitario secco, in alto, ottimo punto di riferimento visibile
anche da molto lontano. Dopo il pino e dirigendoci verso tre grossi massi le
pendenze si abbattono a 45° fino a sbucare sul bordo dell’ampio terrazzone
nevoso ancora più appoggiato. Da qui è possibile individuare il punto migliore
per l’uscita sulla cresta sommitale in prossimità della vetta.
Anche se le
pendenze si sono addolcite la neve però diviene farinosa. L'ultimo tratto lo
facciamo slegati e in prossimità dell’uscita scorgiamo la croce di vetta. Raggiungiamo
infine la piccola forcella dove piegando a sinistra guadagniamo in pochi metri
la vetta Nord di Serra Ciavole con la sua croce di legno incrostata di ghiaccio
posta a 2130 metri.
Descrivere a
parole il panorama invernale che si gode da questa cima in una giornata tersa è
assolutamente riduttivo, bisogna esserci. Guardando a Est si estende l'immensa
Fagosa con le rocciose Timpe fino al mare che oggi è azzurro cristallino. A ovest
I Piani di Pollino si
mostrano in tutto il loro splendore invernale... Una distesa immensa di neve e
ghiaccio. Poi la
processione di vette a 360 gradi a iniziare da Serra Crispo a Nord con il suo fantastico
Giardino degli dei. A seguire il Pollino e Serra Del Prete che da questa
prospettiva sembrano due montagne gemelle, poi sua maestà Serra Dolcedorme e
via via le vette della Cresta dell’infinito formata dalla Timpa del Pino di
Michele, dai monti Manfriana e la piccola Serra di Malaverna e con i due culmini
di Timpa del Principe a chiudere.



Per il
ritorno scendiamo dalla vetta per andare a prendere con un lungo traverso la
cima sud, tre metri più bassa e impegnare in tal modo la cresta sud est che ripidamente
va ad esaurirsi sul sentiero che proviene dal Varco del Pollino. Durante la
discesa ritroviamo Italus, il pino millenario che salutiamo e immortaliamo dal
filo di cresta.
Percorriamo
così la Scaletta raggiungendo il Piano di Fossa dove incrociamo un biker che lo
stesso giorno avrebbe fatto la Via dell’infinito. Per la serie “al lupo al
lupo!” la sera apprendiamo che sarebbe stato lanciato un falso allarme, non si
è capito perché e da chi, per soccorrere il presunto malcapitato, mobilitando
addirittura il soccorso alpino. Probabilmente colpa dell'eccesso di zelo di un
escursionista che in contemporanea, tornando dalla Manfriana lo avrebbe visto da
solo, in un’ora relativamente tarda sulla cresta con il suo mezzo ma non
assolutamente in difficolta’. Naturalmente la sera, probabilmente ignaro dell’accaduto
avrebbe serenamente postato su instagram storia e belle foto della sua salita.Dopo
aver salutato il buon ciclista andiamo a terminare la giornata passando per la
sorgente del Vascello e a chiudere infine lo spettacolare anello rientrando alla
macchina con la Timpa di San Lorenzo illuminata dagli ultimi raggi di sole all'imbrunire.
In
conclusione si tratta di una splendida via non particolarmente difficile, ma
impegnativa e non banale che abbiamo percorso in condizioni di alternanza di accumuli di neve non portante,
neve spazzata e a tratti scarsa immersi pero’ in un ambiente davvero maestoso, selvaggio
e severo. Così la prima è fatta. Vediamo adesso cosa ci riserverà l’inverno appena
iniziato.
Scarica la traccia gpx
Nessun commento:
Posta un commento