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venerdì 10 gennaio 2020

Serra delle Ciavole Via dei Moranesi


Mentre i nostri passi affondano sulla neve restiamo in silenzio. Vogliamo entrare in punta di piedi in questo luogo sacro quasi col timore di profanarlo. Siamo alle pendici della parete est di Serra delle Ciavole, rapiti dalla sua tormentata bellezza. Come un'immensa muraglia e simile ad un'onda travolgente ci chiama e ci invita a vincerla. 




Il Pollino è tutto incredibilmente bello, ma ci sono alcuni luoghi in particolare che considero speciali, dei santuari della natura, isolati, selvaggi, impervi. Tra questi posso annoverare l’anfiteatro del Diavolo del Raganello, la parete sud del Dolcedorme, l'alpestre Montea regina dell'Orsomarso e appunto il versante orientale di Serra Ciavole. Luoghi solenni che ogni volta diventano nuova scoperta, suscitano grandi emozioni. 




Ma quest’ ultimo, forse più degli altri è quello in cui ti rendi conto del senso di isolamento che incute, anzi incontrare qui un essere umano durante un’ascensione diventa una scommessa. Tra le insenature e i dedali della parete si sviluppano solo itinerari arditi, alpinistici, difficili, per gente preparata e motivata che vede come uniche eccezioni facili le sue estremità, la cresta sud, sudest e la Grande porta del Pollino. 




Abbiamo voluto in tal modo aprire la nuova stagione invernale col botto andando a fare la Via dei Moranesi alla quale avevamo rinunciato lo scorso aprile a causa di condizioni non adatte e dirottando i nostri passi verso il Dolcedorme. La via è stata aperta il primo marzo 2009, ha uno sviluppo di 400 metri e 60° di inclinazione max. Rispetto agli apritori che si mossero dalla Masseria Rovitti, noi abbiamo lasciato l’auto sulla sterrata nei pressi di quella che è chiamata Fonte di Acquasalata, dove il torrente Vascello incrocia e passa sotto la strada. Partire da questo punto vuol dire affrontare un dislivello di quasi mille metri ma soprattutto effettuare un avvicinamento infinito. Si tratta infatti di attraversare senza soluzione di continuità l’intero bosco della Fagosa lungo l’asse est-ovest. 




La giornata è perfetta, cielo terso, temperature piuttosto rigide e una discreta ventilazione. L’unico dubbio resta la quantità di neve presente che sulle pareti verticali sembra spruzzata. Anche la nord-est del Dolcedorme ci dà questa sensazione, si notano in effetti le rocce e le praterie che affiorano da uno strato nevoso piuttosto magro. Sicuramente il forte vento dei giorni precedenti ha contribuito a spazzare per bene la neve scoprendo alcune zone e creando degli accumuli altrove. La nostra via essendo leggermente più appoggiata e protetta dovrebbe aver conservato buone condizioni. Restiamo fiduciosi. 




Prima dell’alba siamo già in movimento e le cime alte del nostro massiccio ancora non baciate dal sole e in penombra ci osservano lontano. Ci avviamo infreddoliti lungo la traccia che dalla piazzola va ad intersecare più in alto la strada della Fagosa. Assistiamo così al sorgere del sole che filtra tra i rami dei faggi e allo stesso tempo infiamma le pareti del Dolcedorme. Raggiunta la strada della Fagosa ne percorriamo un tratto fino al bivio da cui si stacca l’altra pista che dirige a Piano di Fossa. Noi l’abbandoniamo all’altezza del laghetto ghiacciato dal quale si apre uno spettacolare palcoscenico sull’intera parete est di Serra Ciavole. Da questo punto panoramico le condizioni delle varie vie sono ben più evidenti. Abbiamo toccato velocemente i 1500 m. di quota e nel frattempo, poco prima ha fatto la sua comparsa la neve che alta solo dieci, quindici centimetri non ci ha rallentato granché. 
































Dal lago senza percorso obbligato penetriamo nella solenne faggeta puntando verso il settore di destra della parete dove parte la Via dei Moranesi. La presenza di enormi macigni franati giù dalla notte dei tempi ci indica che siamo alla sua base, seminascosta dai faggi. Usciti dal bosco restiamo estasiati dallo spettacolo che oggi la natura ci offre. Dirupi, brecciai e canaloni solcano e incidono profondamente queste pareti calcaree festonate da vetusti esemplari di pini loricati, alcuni dei quali dalle dimensioni ragguardevoli, creature che amano assolutamente vegetare nei luoghi più inaccessibili, impervi e isolati. 




Ora bisogna raggiungere il grande anfiteatro e puntare il pino loricato che sorge al centro dove si diramano la Via dei Moranesi a sinistra e la Diretta nord est a destra. Bisogna affrontare una bella pettata a 45°per portarsi a ridosso dell'albero, metterci comodi, calzare i ramponi, tirare fuori casco, picche, corda e imbracarci.









































Con lo spezzone da 20 m che ho con me decidiamo di procedere in conserva lunga perché le condizioni non sono tali da richiedere dei veri e propri tiri. In questo tipo di progressione ci si muove simultaneamente, dove il primo protegge nei punti più delicati utilizzando alla bisogna un fittone, chiodo o fettuccia che sia, assicurando il secondo col mezzo barcaiolo o facendo passare la corda attorno ad un tronco o ad uno spuntone se lo recupera. A sua volta il secondo provvede a rimuovere le sicurezze. In tal modo la cordata procede in maniera più snella e veloce. 



















Dal pino loricato operiamo un traverso a sinistra utilizzando come riferimento il grosso tronco mozzato di un loricato secco. Riesco ad infilargli un ampio anello di fettuccia e risalgo la crestina fino allo spigolo della parete di destra dove metto un “buon”chiodo piatto.Da li mi sposto di nuovo a sinistra per capire dove andare e raggiungo in tal modo la gobba da cui si dovrebbe scendere per guadagnare il largo canale centrale. Nel frattempo proteggo mediante fettuccia sul tronco di un piccolo faggio mentre il compagno raggiunge la parete col chiodo.




La neve nel canale però è piuttosto alta e non portante e per risparmiarci una penosa ravanata col sole che infierisce preferiamo seguire la linea più difficile sul suo fianco parallelo superando due scalini rocciosi dai quali ci portiamo in verticale procedendo su inclinazioni che toccano i 55°.Puntiamo decisamente il grosso pino loricato solitario secco, in alto, ottimo punto di riferimento visibile anche da molto lontano. Dopo il pino e dirigendoci verso tre grossi massi le pendenze si abbattono a 45° fino a sbucare sul bordo dell’ampio terrazzone nevoso ancora più appoggiato. Da qui è possibile individuare il punto migliore per l’uscita sulla cresta sommitale in prossimità della vetta. 




Anche se le pendenze si sono addolcite la neve però diviene farinosa. L'ultimo tratto lo facciamo slegati e in prossimità dell’uscita scorgiamo la croce di vetta. Raggiungiamo infine la piccola forcella dove piegando a sinistra guadagniamo in pochi metri la vetta Nord di Serra Ciavole con la sua croce di legno incrostata di ghiaccio posta a 2130 metri. 




























Descrivere a parole il panorama invernale che si gode da questa cima in una giornata tersa è assolutamente riduttivo, bisogna esserci. Guardando a Est si estende l'immensa Fagosa con le rocciose Timpe fino al mare che oggi è azzurro cristallino. A ovest I Piani di Pollino si mostrano in tutto il loro splendore invernale... Una distesa immensa di neve e ghiaccio. Poi la processione di vette a 360 gradi a iniziare da Serra Crispo a Nord con il suo fantastico Giardino degli dei. A seguire il Pollino e Serra Del Prete che da questa prospettiva sembrano due montagne gemelle, poi sua maestà Serra Dolcedorme e via via le vette della Cresta dell’infinito formata dalla Timpa del Pino di Michele, dai monti Manfriana e la piccola Serra di Malaverna e con i due culmini di Timpa del Principe a chiudere. 




Per il ritorno scendiamo dalla vetta per andare a prendere con un lungo traverso la cima sud, tre metri più bassa e impegnare in tal modo la cresta sud est che ripidamente va ad esaurirsi sul sentiero che proviene dal Varco del Pollino. Durante la discesa ritroviamo Italus, il pino millenario che salutiamo e immortaliamo dal filo di cresta. 




Percorriamo così la Scaletta raggiungendo il Piano di Fossa dove incrociamo un biker che lo stesso giorno avrebbe fatto la Via dell’infinito. Per la serie “al lupo al lupo!” la sera apprendiamo che sarebbe stato lanciato un falso allarme, non si è capito perché e da chi, per soccorrere il presunto malcapitato, mobilitando addirittura il soccorso alpino. Probabilmente colpa dell'eccesso di zelo di un escursionista che in contemporanea, tornando dalla Manfriana lo avrebbe visto da solo, in un’ora relativamente tarda sulla cresta con il suo mezzo ma non assolutamente in difficolta’. Naturalmente la sera, probabilmente ignaro dell’accaduto avrebbe serenamente postato su instagram storia e belle foto della sua salita.Dopo aver salutato il buon ciclista andiamo a terminare la giornata passando per la sorgente del Vascello e a chiudere infine lo spettacolare anello rientrando alla macchina con la Timpa di San Lorenzo illuminata dagli ultimi raggi di sole all'imbrunire. 




In conclusione si tratta di una splendida via non particolarmente difficile, ma impegnativa e non banale che abbiamo percorso in condizioni di alternanza di accumuli di neve non portante, neve spazzata e a tratti scarsa immersi pero’ in un ambiente davvero maestoso, selvaggio e severo. Così la prima è fatta. Vediamo adesso cosa ci riserverà l’inverno appena iniziato.




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