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martedì 21 luglio 2020

Il Canyon del Galatro





Forra del Galatro tredici anni dopo. All’epoca promisi a me stesso di non tornarci più a causa della notevole quantità di spazzatura presente nell'ultima parte della gola, nel tratto che passa sotto il ponte dei Colombi. I giorni seguenti denunciai con fermezza quello scempio perpetrato da anni presso i due comuni interessati, Lungro e Acquaformosa, nel tentativo di smuovere in qualche modo le coscienze, ma non ottenni nessun risultato. Le due amministrazioni fecero semplicemente scaricabarile sulle responsabilità solo perché il Galatro segna il confine tra i due comuni e quindi nessuno volle farsi carico del problema. Ad oggi non è cambiato assolutamente niente.


Appresi in seguito che anche Michele Angileri, il numero uno del canyoning del sud Italia, durante la prima discesa avvenuta sette anni prima, giunto in quel punto rinunciò a proseguire perché non ne ebbe il coraggio. Da questo deduco che dovrei essere l'unico ad aver percorso integralmente la forra del Galatro due volte.Da precisare che il canyon per l'85% è pulito, ed è straordinariamente bello e selvaggio, soprattutto la parte finale, proprio quella interessata dall’inquinamento, nel punto in cui si inforra in uno stretto ed oscuro canyon dai salti verticali e levigati. Purtroppo alcuni possiedono una atavico e sadico piacere nel violentare luoghi inaccessibili trasformandoli in discariche ed immondezzai. In tutta la loro bassezza e squallida ignoranza pensano:”tanto li sotto chi ci andrà mai?”.



































I locali lo chiamano “Ka Honi, che in arberesh significa “presso il burrone”, ma non è che il burrone della vergogna che i due comuni, l'Ente Parco, la regione e le autorità interessate devono inevitabilmente accollarsi. Auspico che il tratto finale del Galatro che tengo a precisare, fa parte del Parco Nazionale del Pollino a pieno titolo possa essere bonificato e recuperato al più presto riacquistando l'antico splendore che merita.Dunque perché ci sono tornato? Semplicemente perché invogliato dall’ amico e socio Pasquale, compagno di millefatiche che è proprio di Lungro. Lo avrei accompagnato in un'avventura di gran pregio praticamente a casa sua. Talmente determinato che qualche giorno prima si era anche avventurato nel fondo della gola sotto il Ponte dei Colombi per trovare una via di fuga nell'eventualità di interrompere la discesa prima del tratto inquinato dalla spazzatura.




Dopo aver lasciato la mia auto presso il ponte, che ci servirà all'uscita, con la sua raggiungiamo velocemente la località Mommurro, qualche chilometro a monte dell'incantevole borgo percorrendo una strada panoramica immersa nel giallo delle ginestre. Nei pressi di un cancello dove ci fermiamo parte una sterrata che ci avvicina al greto del fiume.




La prima volta invece entrammo dal versante di Acquaformosa e fu una mezza odissea perché non riuscimmo a trovare una fantomatica fontana dei Comunisti indicata in una vecchia guida quale località di partenza per scendere nella gola. Così errammo per un paio d'ore sotto un sole cocente, con i tafani famelici che ci tormentavano procedendo a volte nella macchia, a volte attraversando campi coltivati prima di trovare l'ingresso. In ogni caso anche l'avvicinamento dal versante lungrese non è stato proprio comodo e scontato.

































Dopo esserci avviati su sentiero segnato intersechiamo infatti un torrentello fangoso e invaso dai rovi percorrendone un tratto, ma ci accorgiamo presto che non è il Galatro ma un suo piccolo affluente. Usciamo di nuovo fuori e con l'aiuto della traccia GPS individuiamo finalmente il vallone principale. Aimé, prima di raggiungerlo ci infraschiamo in una fitta e intricata macchia di ginestre, rovi e roverelle. Solo dopo essere tornati sui nostri passi e con pazienza effettuato un complicato aggiramento riusciamo finalmente a mettere piede sul greto del fiume. Nel mentre, Pasquale incontra anche un piccolo capriolo che i locali in arberesh chiamano Kazamite. Naturalmente il piccolo ungulato si dilegua velocemente in men che non si dica perdendosi nella fitta vegetazione.





Nella prima parte del fiume vi è scorrimento di acqua che più a valle scompare per permeabilizzazione, fenomeno tipico degli ambienti calcarei. La roccia in questo punto è levigata e scivolosissima ed io credo di non aver operato la scelta giusta degli scarponcini. Sapendo a cosa sarei andato incontro alla fine della discesa avrei calzato le mie vecchie scarpe da escursionismo della La Sportiva ormai a fine vita per sbarazzarmene a termine escursione. In ogni caso dopo un paio di infelici scivoloni prendo le contromisure facendo attenzione ad ogni passo almeno fino a che l’acqua non sarebbe scomparsa per proseguire sull'asciutto.Per comodità di esposizione ho pensato di suddividere il percorso in alcuni settori distinti in base alla morfologia e ad alcune caratteristiche peculiari riscontrate. Per sommi capi vi è l'Ingresso, il tratto appena descritto in cui si cammina in acqua e dove scende anche una graziosa cascata di alcuni metri di altezza, probabilmente l'unica del torrente. Successivamente allorchè l'acqua si infiltra al di sotto del letto del fiume iniziano I primi salti, uno dei quali di una quindicina di metri.



Dopo si accede nella zona dellePiccole pozze, uno stretto canyon molto suggestivo dalla roccia levigata. Le pozze, concave, strette e un po’profonde, raccolgono acqua piovana che ristagna per molto tempo, emanando un odore sgradevole di materiale marcescente, foglie, rametti e sterpi vari. Subito a seguire compare l’ansa della "Grande Pozza, simile alle precedenti ma più grande e profonda. A vederla dall’alto il socio che non sa nuotare ha un attimo di smarrimento. Prima di calarlo, con una certa apprensione mi dice:”dove ci vediamo, in paradiso o all'inferno?” Era palese a vista che la pozza non poteva essere più profonda di un metro e mezzo ma vai a convincere chi ha la fobia dell'acqua. E' un tratto davvero suggestivo immerso in una cornice di vegetazione lussureggiante che ci impegna in manovre di corda articolate e molto divertenti.



Durante le calate utilizziamo una corda da 20 m. e una da 60 in base all'altezza dei salti applicando tecniche miste di torrentismo e alpinismo, tipo discensore con piastrina e Machard, discensore a otto in due combinazioni diverse ma non utilizzando il nodo tampone perché trattandosi di una forra asciutta con rocce a volte spigolose, alla base delle soste questi si sarebbe potuto incastrare durante il recupero della corda.




Dopo questo settore abbastanza impegnativo vi è ilTratto intermedio, più tranquillo dei precedenti, che ci permette di rifiatare dove alla camminata si alternano brevi salti, alcuni disarrampicabili, altri da calarsi con la 20 metri su un solo punto di sosta. Raggiungiamo poi una piccola radura in cui tredici anni fa con il piantaspit attrezzammo uno spit per permetterci di calarci lungo il salto successivo. Qui’ sostiamo per rifocillarci e anche perché comincia ad affiorare un po’ di stanchezza.


Il salto che segue immette in una specie di tunnel provocato probabilmente da uno smottamento di rocce accatastate, tronchi, terriccio e quant’altro. Il tratto l’ho denominato Dal tunnel alla clessidra. Più in basso vi è infatti un salto di cinque metri che con molta attenzione potrebbe essere disarrampicato, ma per non rischiare cerchiamo un qualcosa dove attrezzare una doppia che però non si trova. Dopo un'attenta perlustrazione noto una bella clessidra di calcite di lato un piccolo grottino, formatasi per stillicidio. Che fortuna!!Cordino da abbandono, maglia rapida e via. D'ora in avanti ci attende una serie di salti senza soluzione di continuità.



































Giungiamo così sotto il ponte dei Colombi, la parte più impegnativa, tecnica ed adrenalinica del percorso incontrando il primo pauroso salto della stretta Forra oscura. Qui’ sembra veramente di scendere nelle profondità degli inferi. Anche la luce del sole fa veramente fatica a penetrare, tanto da rendere il luogo estremamente buio e tenebroso anche quando il sole splende alto nel cielo. Ecco l’imprevisto proprio ad uno dei salti più impegnativi. La sosta semplicemente non c'è. Pasquale vistosamente agitato prova a guardare dappertutto ma niente, la sosta non esiste più. Ricordavo che era attrezzata sul lato sinistro e purtroppo constatiamo che uno smottamento l'ha cancellata.


Ci sono grossi massi sparpagliati e un albero in alto a destra a dieci metri dal punto di calata. Il socio vorrebbe usarlo per la doppia ma c'è un problema. La verticale è di venti metri e a seguire vi è un altro salto di sei, sette metri. Doppiando la corda da 60 m. sul tronco non arriveremmo a chiudere i due salti. Dobbiamo forza maggiore trovare un bel masso stabile e sicuro più vicino possibile al punto di calata.Dopo aver testato la stabilità di alcuni massi ne troviamo uno che fa al caso nostro. Per motivi di sicurezza scelgo di non usare cordini di abbandono in nylon ma sacrifico un anello di dynema di due metri con maglia rapida che integro ad una fettuccia che fuoriesce dal terreno proprio in quel punto e che pare davvero robusta. In tal modo riusciamo egregiamente a toglierci da questo impaccio ed effettuiamo le calate con serenità.




Subito dopo compare l'odiata spazzatura che al secondo salto si presenta come una specie di poltiglia ammassata e compressa proprio sulla verticale di calata. Una sorta di materiale misto tra rifiuti inglobati da sterpaglia ed altra roba che si riversa sul bordo iniziale del salto. Per evitare problemi, ultimamente è stato montato un deviatore. Dopo aver valutato bene la condizione del salto noi però decidiamo di non servircene. Pare che la spazzatura non impedisca una calata fluida, anche se purtroppo, durante la manovra non riusciamo ad evitare il contatto con quella robaccia. Più giù incontriamo il terzo dei salti più importanti che rispetto al precedente è più pulito. Nei pressi della forra,prima del ponte persero anche la vita due ragazzi in un incidente stradale.



































Dopo questa fase adrenalinica continuiamo la progressione giungendo agliUltimi salti, meno impegnativi ma invasi anch’essi da spazzatura. Sulle nostre teste pende da anni anche la carcassa di una vecchia auto incastrata.Durante una calata dobbiamo stare attenti ad un rottame arrugginito addossato alla sosta. Ferirsi in questo punto non sarebbe una cosa piacevole. In uno successivo attrezziamo la doppia in un tubo metallico incastrato nel terreno. Si va avanti ad oltranza fino al termine di tutti i salti. Gli ultimi metri sono tranquilli ma invasi oltre che dei soliti rifiuti con i quali abbiamo convissuto, anche di fastidiosi rovi, ma il tratto è breve. Siamo finalmente allUscita.



Risalendo infine una piccola pendice compare il vertiginoso ponte dei Colombi, lassù molto in alto avvolto da una rigogliosa foresta. Pochi passi e incrociamo il sentiero che in forte pendenza ci porterà sulla rotabile dov'è parcheggiata l'auto. Ne usciamo provati e mezzi infangati dalla testa ai piedi, materiali e zaini compresi. Ci toccherà infine lavare e disinfettare tutto. Ce lo aspettavamo ma in ogni caso quest’immersione totale nella natura (e alla fine anche nella spazzatura aimé) è stata una bella e indimenticabile esperienza. Il forte contrasto tra i luoghi non frequentati dall'uomo con quelli dove l'inciviltà regna sovrana è stato qui’ molto evidente. E allora alla prossima? Probabile, ma stavolta soltanto se avranno ripulito il Galatro da quel lerciume, e prometto ci andrò molto volentieri.



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