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lunedì 15 ottobre 2012

Corno Mozzo





































LA VALLE DELL’ARGENTINO. Non ci sono parole nel descrivere lo spettacolo che si incontra entrando in quello che è stato classificato come il cuore ecologico del Parco,una delle più grandi ed affascinanti aree Wilderness d’Italia,il regno del verde e dell’acqua,ambiente intatto e incontaminato,anima selvaggia del Pollino. E’ un vero laboratorio a cielo aperto in quanto vegetano più di 800 specie botaniche,indice di grande biodiversità. Nelle acque limpidissime e fredde del fiume vive la lontra e si rifugia la trota. Nel suo areale vengono seguiti alcuni branchi di lupo e un discreto numero di caprioli,qui considerato autoctono,unica specie geneticamente pura di capriolo italiano.




La natura carsica del paesaggio ha creato formazioni calcaree modellate dall’erosione,aerei e strapiombanti crestoni,guglie e pinnacoli rocciosi come Castel Brancato e Corno Mozzo e dirupi vertiginosi come i Crivi di Mangiacaniglia e delle Falaschere;un disordinato ventaglio di creste e voragini dove sopravvivono creature gigantesche che sono tra le più sorprendenti abitatrici di questi luoghi:faggi e pini loricati che si staccano da terra e raggiungono altezze di venti,trenta metri. Per me la foresta pluviale amazzonica immersa nei torrioni andini di Macchu Picchu.
 



Dopo la “sbornia” del Monte Cervino e una breve pausa per digerire quella fantastica avventura riprendo un po’ a fatica nell’andare per monti. La meta:il “Corno Mozzo”,una piramide rocciosa dal quale si domina per tutta la sua lunghezza la Valle dell’Argentino fino al mar Tirreno dove si scorge l’abitato di Scalea. Un balcone panoramico di eccezionale bellezza. Dalla sua sommità la vista spazia dal Timpone Fornelli che precipita verso il Varco della Gatta,laddove si uniscono le due fiumarelle di Tavolara e Rossale dando vita all’Argentino ,al maestoso Cozzo del Pellegrino il cui versante settentrionale è interamente ricoperto da fitte foreste di faggio.




Lo sguardo si perde poi lungo la sinistra idrografica dell’Argentino dove dalle vette di Timponi Camagna e Garrola precipitano selvaggi costoni di roccia fino al fondo valle. Più giù la piramide di Castel di Raione,un altro eccezionale balcone per osservare nella sua interezza la Valle. Verso destra invece i precipiti Crivi di Mangiacaniglia sovrastati dal Monte Palanuda chiudono il fantastico orizzonte.




Insieme a Pasquale intraprendiamo il sentiero che si stacca dal bordo occidentale dello splendido e soleggiato Piano Novacco risalendo lungo i pendii boscosi della Serra di Novacco.Giunti al valico si ridiscende un pendente canale che ci porterà ad intersecare la sterrata proveniente da Mare Piccolo e che conduce alla misteriosa Pietra Campanara,un monolito alto 30 metri,perfettamente colonnare posto a guardia del Vallone Fornelli. Da qui la prosecuzione lungo il sentiero per il Palanuda ma la deviazione che bisogna effettuare per raggiungere Corno Mozzo non è di facile decifrazione né segnalata, ed  immersi in quella fitta foresta senza punti di riferimento è facile sbagliarsi tanto che continuando a risalire il fondo del vallone quasi raggiungiamo l’anticima del Palanuda.Comunque ritornando sui nostri passi ed intraprendendo un sentiero che si distacca da quello principale ci ritroviamo ad affacciarci su un piccolo terrazzo perfettamente a strapiombo sui Crivi di Mangiacaniglia.Panorama mozzafiato. L’errore commesso è stato così compensato da queste magiche visioni sulla valle. In basso a sinistra si erge il nostro Corno Mozzo.

























In seconda battuta,ripartendo dalla Pietra Campanara e dopo aver proseguito per un quarto d’ora ci “buttiamo” nel fondo del Vallone Fornelli e guadagnando l’erta pendice che ci condurrà sulla cresta principale e proseguendo lungo il suo filo ad un tratto ecco apparire solitario e misterioso il nostro Corno Mozzo. Spettacolare la visione da un cocuzzolo roccioso al di sopra di esso. A questo punto ci trasformiamo da escursionisti ad alpinisti. Indossato il casco discendiamo il delicato valloncello,molto pendente fino a raggiungere la base del Corno. Nostra intenzione è chiaramente quella di effettuare l’ascensione ad esso. Ci rendiamo conto che la roccia è estremamente marcia ed erosa. Indossiamo l’imbrago e prepariamo corda ed attrezzatura. L’arrampicata lungo un lineare canalino eroso non sarà agevole a causa del pietrisco e della roccia che si sbriciola come farina. Riesco a piazzare soltanto una protezione (chiodo a metà percorso);purtroppo non  riesco a metterne altre perché non vi è nessuna possibilità. Gli ultimi 3 metri risulteranno alquanto difficili (pietrisco scivoloso e scarsi appigli sicuri)ma alla fine è fatta. Piazzo la sosta e faccio sicura a Pasquale che risalendo alza un polverone notevole a causa della caduta di rocce e pietrisco,almeno così abbiamo pulito un po’ la via.
 



Forse noi siamo stati i primi a violare questo singolare roccione perché in vetta non abbiamo trovato nessuna sosta,cordino e simili per effettuare la calata in corda doppia,assolutamente obbligatoria,pena un rischio notevolissimo in un eventuale tentativo di disarrampicata.Infatti per effettuare la doppia ho dovuto lasciare due anelli di corda (non dinamica) attorno ad uno spuntone di roccia. Se qualcun altro vorrà effettuare la ripetizione consiglio di verificare lo stato dei cordini ed eventualmente sostituirli con altri da “abbandono” o meglio ancora armare una sosta.



1 commento:

bupa77 ha detto...

Comunque una bella giornata con un panorama mozzafiato!!ciao e alla prossima...