Un’escursione di ampio respiro paesaggistico, storico e archeologico quella
di sabato 30 Maggio su una montagna simbolo del Parco del Pollino,la misteriosa
ManfrianaOrientale.Radunato un manipolo di prodi scalatori ci siamo avviati
verso quella vetta che dovette catturare l’attenzione dei colonizzatori greci
giunti sulle rive calabre allorchè puntando lo sguardo verso quella bastionata
rocciosa che divide la Basilicata dalla Calabria videro in una di esse le
fattezze del loro Monte Olimpo.
Successivamente in onore del dio Apollo vollero forse innalzare un piccolo
tempio scolpendo massi di roccia presenti in loco. Questa la sensazionale
scoperta fatta da Giorgio Braschi, naturalista e profondo conoscitore del Parco
diversi anni fa. Si tratta di 25 grandi blocchi di granito regolarmente
squadrati. Dalle ricerche condotte
sembra che i massi, tra i quali anche un architrave, siano da ricondurre alle tipologie di costruzione
tipiche del mondo greco.
Ma a “scolpirli” sarebbero state popolazioni italiote, probabilmente i
lucani, utilizzando pietre calcaree locali, secondo la tecnica lavorativa
dell’“anathyrosis” appresa dai colonizzatori greci. Altra ipotesi di
identificazione dei blocchi potrebbe essere che si trattasse di una torre di
avvistamento militare lucana, vista la posizione strategica della vetta del
Monte.
Da qui infatti si domina su un area che spazia dal mare Jonio a tutta la piana di Sibari fino alla Sila e ai monti di Orsomarso. Questo si rivelava un luogo perfetto per il controllo di passi, valichi montani e percorsi tracciati dalle “vie del Sale” che collegavano il versante ionico con quello tirrenico ma anche un perfetto posto di guardia sui confini bretti e Lucani.
Molto probabilmente però quegli antichi costruttori rinunciarono subito in questo progetto forse
a causa delle condizioni climatiche o per la difficoltà di portare fin lassù
(1981 m.) attrezzi e “macchine” per sollevare e assemblare blocchi molto
pesanti.Al momento le indagini archeologiche non sono comunque in grado di
rispondere con certezza al segreto dei massi sparsi sulla Manfriana, quindi non
ci resta che fantasticare sulle varie ipotesi.
Il percorso verso la Manfriana fa parte della cosiddetta “Via dell’Infinito”,una
fantastica linea di cresta che si snoda collegando il Colle della Scala alla
vetta del Dolcedorme passando per la Timpa e il Passo del Principe,la Serra di
Malaverna e il Passo Marcellino Serra.Lungo quella che è una delle attraversate
più belle dell’Appennino ci si lascia rapire dai panorami sconfinati in tutte
le direzioni:dal Mar Ionio,il Golfo e la Piana di Sibari con il piramidale
Sellaro che emerge isolato dagli altri gruppi montuosi;la Sila lontana e la
cuspide di Monte Cocuzzo evidentissimo;la Catena Costiera e i Monti di
Orsomarso e poi guardando verso Ovest,Nord-Ovest il Dolcedorme con Serra delle
Ciavole e Serra Crispo ai suoi fianchi e la Fagosa,un bosco puro di faggi che
si estende a perdita d’occhio fino alle straordinarie Timpe rocciose della
Falconara,diPorace e Cassano e la spettacolare Timpa di S.Lorenzo con la sua
vertiginosa parete verticale di 800 metri che precipita sul torrente
Raganello.In lontananza gli ultimi contrafforti occidentali del Sellaro che
vanno a formare quel gioiello rappresentato dal formidabile canyon del
Raganello dove superato l’abitato di Civita si apre in ampia fiumara verso il
mare.
E’ curioso osservare anche il contrasto climatico tra il versante sud del crinale,quello che guarda verso la Piana di Sibari di tipo arido mediterraneo rispetto a quello settentrionale, fresco e boscoso tanto da sembrare due mondi diversi.Dalla vetta dopo tutte le considerazioni e i pareri sui massi squadrati ridiscendiamo l’erta rocciosa per ritornare al Passo Marcellino Serra e da qui guadagnare il sentiero che scende in diagonale verso Piano di Badia.Nel frattempo siamo deliziati dalla vista di una maestosa aquila reale che planando come un aliante punta prima verso est e successivamente con un’ampia virata gira verso Timpa di San Lorenzo dove probabilmente ha il suo nido.
La nostra meta ora è la pittoresca Fontana del Principe immersa nella
Fagosa dove sei poderose sorgenti lasciano
sgorgare un’acqua freschissima.Il posto,ameno e lussureggiante è purtroppo abbruttito
da alcuni rifiuti lasciati dai soliti idioti che vanno in questi luoghi con
l’unico scopo di ingozzarsi e sporcare pensando che questi per chissà quale
misterioso processo si degradino da soli.
La fontana interseca la pista forestale della Fagosa ed ora bisognerà
tornare indietro per chiudere questo fantastico anello passando per Piano di
Ratto,ampio e soleggiato pianoro prima di giungere al punto di partenza.
Ringrazio ancora una volta i miei compagni e in particolar modo una new
entry,Luigi alla sua prima esperienza di questo tipo. Inizialmente sembrava in
difficoltà ma era pura apparenza. Infatti alla fine, complimentandomi
con lui gli ho detto che i moranesi la montagna ce l’hanno nel DNA.
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