Trascorsa
l’ondata di freddo polare e le copiose nevicate del mese di Gennaio è finalmente
tempo di tentare una salita alpinistica su ghiaccio. Purtroppo dopo la neve è
arrivata anche tanta pioggia che l’ha un po’ “lavata”, specialmente nei
versanti a sud. A nord invece i canali non hanno ancora svalangato e nell’ampio
ventaglio di possibilità la scelta cade su Monte Alpi. Il suo culmine di 1900
m. non lo rende elevato come le cime maggiori del Pollino e questo vuol dire
località di partenza raggiungibili e presenza di un manto nevoso contenuto.
Delle numerose vie presenti sulla Nord tra Santa Croce e Timpa Corvo ci sta Titanic, elegante, lineare e impegnativa quanto basta, secondo la relazione. Alla fine però rivedendo la traccia gpx registrata mi rendo conto che quella realizzata non è Titanic ma una via più a sinistra, intrapresa per aver impegnato un attacco molto vicino ma diverso. Capita infatti che quando osservi la montagna da lontano, le creste, i canaloni e le vie sono più evidenti. Quando invece sei alla base della parete tra un dedalo di roccioni, anfratti e passaggi vari può essere facile sbagliarsi. Pensando forse di aver aperto una via nuova mi consulto con un alpinista pugliese, autore della guida “Sud Verticale” il quale mi dice che invece abbiamo fatto Hansel&Gretel e questo è l’antefatto.
Sabato 28
Gennaio. Insieme al mio compagno di cordata Pasquale partiamo alla volta di
Castelsaraceno e deviando infine al bivio per Carbone all’altezza di un
complesso di ripetitori telefonici raggiungiamo il rifugio Tellus Mater. Qualche
chilometro prima troviamo strada ghiacciata e uno spalaneve in azione che ci
facilita il raggiungimento della località di partenza. Il rifugio grava
purtroppo in un pietoso stato di abbandono, ma da queste parti non è una novità.
Subito dopo il rifugio dove si spiega la parete Nord di Monte Alpi parte una
pista che in un’ora e mezza conduce alla Neviera. Si tratta del famoso
fosso-canalone base di partenza di tutte le vie di ghiaccio-misto di quel
versante. Di queste ne cito alcune fatte da me in passato quali “Coitus
Interruptus”, due volte “Solco Dritto” e la “Via del Corvo”, oltre la Normale
della Neviera sempre in discesa. Durante la marcia notiamo le tracce di una
coppia di lupi tra cui un grosso maschio, impronte di capriolo e scoiattolo che
si rincorrono.
Giunti alla
Neviera, scendiamo sul fondo e percorriamo in salita qualche centinaio di metri
procedendo su accumuli di neve abbondante e superando alcuni salti, finchè
sulla destra si apre un corridoio nel bosco. A questo punto bisogna deviare
risalendo un pendio di neve fino a raggiungere la base della parete. Quì
traversiamo nettamente a sinistra il nevaio a 45°che si stende sotto le rocce
puntando a uno sperone dietro il quale parte una forretta ostruita da un
albero. A destra d’essa invece si sviluppa un bel canalino che costeggiando lo
spallone roccioso descrive una S. Questo sarà il nostro attacco.
Facendo
sosta a un albero sotto le rocce parto io affrontando la rampa a 50,55° piantando
un fittone nella neve e più su un chiodo da roccia in parete. Purtroppo mi
rendo conto da subito che la via è difficilmente proteggibile perché la neve
non sufficientemente portante impedisce di attrezzare delle buone soste con le
piccozze e di utilizzare fittoni che tengano bene. Comunque proseguo per circa
una quarantina di metri e mi accorgo di non avere sufficiente corda ad arrivare
all’albero in alto in corrispondenza di una fascia rocciosa per fare sicura.
Allora
faccio sosta alla meno peggio su un rametto che spunta dalla neve e che mi
sembra abbastanza robusto. Recupero Pasquale fino a raggiungere il chiodo, per
la lunghezza sufficiente che occorre a me per arrivare con il tiro successivo
all’albero in alto. Qui mi scivola anche un guanto che mi ero tolto per
scattare qualche foto, ripreso per fortuna dal mio compagno. Che sofferenza però
fare il tiro successivo a mano nuda nella neve. L’albero in alto sorge su una
paretina di roccia e ghiaccio che bisogna vincere superando con le piccozze il
risalto a 75°. La neve risulta però crostosa e questo mi costringe ad aiutarmi anche
a forza di braccia sui rami dell’albero per superare l’intrico ma alla fine gli
vado sopra. Per attrezzare la sosta sul tronco con una fettuccia devo scendere
di qualche passo lavorando in una posizione quasi impossibile.
Tocca poi a Pasquale
che nella sua progressione trova grossi problemi a superare l’ostacolo per via
del passaggio “rovinato” da me. Di conseguenza si va a ingarbugliare fra i rami
dell’albero ma alla fine ne esce fuori continuando in alto e fermandosi in un
punto più comodo. Questa volta parto io da secondo e per raggiungerlo evito
volutamente il passaggio più facile (si fa per dire), un breve pendio a 70°.
Leggermente a destra affronto invece un risalto di misto a 90° bello tosto.
Gesto più che altro gratuito che si poteva anche evitare.
A questo
punto sembra che le difficoltà maggiori siano terminate perché davanti a noi si
para una rampa a 55,60° senza problemi apparenti sormontata da una successiva
fascia rocciosa ghiacciata. Invece questo sarà il passaggio più delicato.
Infatti vado io da primo in progressione abbastanza tranquilla cercando un
punto per attrezzare una sosta. Ho quasi esaurito tutta la lunghezza della
corda ma gli esigui affioramenti rocciosi che incontro non sono adatti a
piantare chiodi. Inoltre la neve in questo punto è poco compatta per infilare
qualche fittone sicuro e le picche non tengono bene.
Non mi resta
che scavare una buca nella neve per stare comodo e ben piantato con i ramponi
lasciando lo spazio anche per raccogliere la corda. Posiziono le piccozze a
monte della buca e vi faccio passare un cordino. Da qui recupero il compagno
che mi raggiunge e successivamente prosegue sopra di me apprestandosi ad
affrontare la fascia ghiacciata di rocce, ma il superamento del salto risulta
molto complicato e rischioso.
Nel
frattempo io sto in ansia perché la sosta dove sono posizionato è alquanto
precaria e Pasquale non trova il bandolo della matassa. Allora decide di fare
un traverso delicato verso destra puntando un altro gruppo di rocce dietro le
quali pare ci sia un corridoio più tranquillo. Alla fine trova il passaggio, ma
tanto per cambiare non riesce a mettere un fittone sempre per colpa della neve
crostosa.
Un pò spazientito dalla situazione troppo statica smonto tutto e lo raggiungo dopo aver recuperato la corda e faccio un altro
tiro fino a trovare un punto in cui la neve più compatta, sembra dare garanzie maggiori.
Prendo le mie piccozze e questa volta le pianto bene attrezzando una sosta
veramente sicura. Recupero il compagno e proseguiamo tranquillamente in
conserva dirigendoci verso la spettacolare cresta ghiacciata della Via del
Corvo dove le pendenze si abbattono a 35° circa e le difficoltà sostenute sono
finalmente e definitivamente terminate.
Mentre
facciamo un po’di foto alla cresta ricoperta di spettacolari cornici che danno
alle rocce delle sembianze antropomorfe, una coppia sopraggiunge dalla Neviera
guadagnando prima la cima di Timpa Corvo e poi Santa Croce. Il panorama da
questa vetta è mozzafiato sul lontano massiccio del Pollino verso sud-est
mentre più ravvicinate sorgono Monte La Spina e Zaccana con il lago Cogliandrino
che occhieggia adagiato nella valle del fiume Sinni. A Ovest troneggia il
mastodontico Monte Sirino, un altro gigante di 2000 metri e a nord spicca Monte
Raparo.
Ora in
attesa che le condizioni migliorino ulteriormente sperando di trovare neve
compatta e portante incameriamo questa bella e delicata uscita su una delle
montagne del Appennino Meridionale che sa regalare sempre grandi emozioni ed
enormi soddisfazioni.
Scarica la traccia GPX
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