Smaltite le scorie dell’inverno, inauguro la stagione estiva su una delle montagne più belle dell’Orsomarso e a me più care: il Monte La Caccia, che ho spesso definito “una montagna sul mare” a motivo della breve distanza in linea d’aria che la separa dal Tirreno. Aspra e selvaggia, offre vasti panorami tanto sul lato mare quanto verso l’entroterra montano. La sua morfologia tormentata fatta di valloni profondamente incisi, canaloni scoscesi, inviolate pareti imponenti e creste frastagliate, riesce sempre a suscitare emozioni intense.
Sugli anfratti rocciosi più irraggiungibili vegetano pini loricati dalle forme più svariate, alcuni dei quali emergono direttamente dalle pareti verticali, i quali slanciandosi alti verso cielo sfidando la gravità e ogni logica fisica. E poi c’è la nebbia, presenza quasi costante che qui non è soltanto un fenomeno meteorologico, ma un vero e proprio elemento scenografico che aggiunge fascino, mistero e, talvolta, un senso di inquietudine. Non è raro assistere al suggestivo spettacolo del mare di nubi che si solleva lentamente dalla parete sud soprattutto nelle ore pomeridiane.
Quello che abbiamo realizzato con Falk, arrivato dalla Puglia domenica 1° giugno, è stato un percorso esplorativo e articolato, per gente allenata e motivata. L’itinerario si snoda lungo una serie di canali di deiezione molto ripidi e impervi, collegati da costoni e cenge che attraversano un ambiente selvaggio e suggestivo, ai piedi dell’imponente parete rocciosa del versante sud di questa montagna. Pur non trattandosi di una salita propriamente tecnica, il tipo di terreno attraversato, spesso con ripidi pendii erbosi, qualche salto roccioso e alcuni passaggi esposti, la rende non priva di difficoltà alpinistiche (generalmente II+ e un breve passo di III° all'attacco del primo canale). In diversi tratti è indispensabile l’uso delle mani, così come la capacità di individuare le prese più sicure e gli appoggi più stabili. Inoltre, è fondamentale sapersi orientare con sicurezza fuori sentiero, preferibilmente utilizzando un GPS, e saper riconoscere ed evitare i pericoli oggettivi tipici di ambienti tanto severi. Tutto ciò non lo rende assolutamente un comune percorso escursionistico.
Non senza difficoltà nel trovare parcheggio in una piazzola laterale ingombra di rottami e rifiuti partiamo con il sole in faccia dai 730 metri della strada asfaltata in località Trifari Alto, imboccando il sentiero per il Rifugio Belvedere e Serra La Croce. Anche tre escursionisti campani seguono fino a un certo punto lo stesso percorso. In mezzo a una natura rigogliosa e una vegetazione lussureggiante superiamo la località “La Porticella”, intorno ai 1.000 metri di quota, incontrando sulla sinistra un canale roccioso, dove compare una freccia rossa su un masso, che invita a proseguire lungo il tracciato principale. Noi, invece, abbandoniamo il sentiero per risalire il canale inizialmente roccioso, che ci accoglie subito con un primo salto di III°, da superare con passo atletico.
Proseguiamo immersi nella frescura del bosco, dove spiccano alcuni esemplari di orchidea Neottia, fino a raggiungere l’ultimo salto. Lo superiamo uscendo sul lato sinistro, evitando così la fitta vegetazione, e continuiamo su un ampio dorso, seguendo la traccia indicata da occasionali omini di pietra. Parlando in seguito con un escursionista locale incontrato al rifugio Belvedere, pare che l’itinerario seguito corrisponderebbe alla cosiddetta "Direttissima", distinta dalla Ovest che avevo già percorso in precedenza in due occasioni. Tuttavia, una volta raggiunta la base dell’imponente parete sud, la traccia è risultata priva di ulteriori ometti. Pertanto, da quel punto in avanti crediamo di aver seguito un percorso non segnato e, con buona probabilità, inedito.
Dalla parete procediamo verso est lungo una cengia che costeggia la roccia, attraversando alcune crestine e un paio di canalini secondari. Al termine della cengia, a quota 1.350 metri, ci troviamo alla base di un imponente anfiteatro che attira subito la nostra attenzione, per un possibile futuro progetto di salita. Risaliamo alcuni metri mettendo le mani sulla roccia, fino a che ci caliamo nel fondo di un canale boscoso il quale sarà la nostra via di salita per guadagnare il crinale sud-est de La Caccia. Intanto in lontananza scorgiamo il comignolo fumante del rifugio Belvedere immerso nei pini. Avvolti dalla nebbia che inizia a risalire dal mare conferendo al paesaggio un’atmosfera suggestiva e quasi irreale, seguiamo il canale in ripida salita, attraversando una sezione ghiaiosa fino a quota 1.500 metri, dove il percorso si dirama. Sulla sinistra si stacca un canalino detritico molto estetico, caratterizzato da diversi saltini da superare in arrampicata (II+). Sebbene la qualità della roccia non sia eccelsa, sono comunque presenti buone prese che consentono una progressione sicura.
Dopo averlo superato, ci imbattiamo in un ripido pendio erboso, a tratti leggermente esposto, che conduce verso una formazione rocciosa piramidale. La aggiriamo sulla sinistra e affrontiamo l’ultimo pendio, anch’esso molto ripido che ci porta in cresta. In questo tratto è necessario l’uso delle mani, aggrappandosi all’occorrenza anche ai ciuffi d’erba per progredire. In simili condizioni, una piccozza leggera si sarebbe rivelata senz'altro utile. Raggiunta la cresta a circa 1.670 metri di quota, seguiamo il sentiero piuttosto evidente che, in breve, ci conduce alla vetta del Monte La Caccia (1.744 m), dove ritroviamo i tre escursionisti incontrati alla partenza. Purtroppo, a causa delle nubi basse, il panorama è quasi azzerato in tutte le direzioni, ma come ho già accennato, si tratta di una caratteristica peculiare di questa montagna. Di tanto in tanto, si intravedono timidamente e in modo sporadico qualche lembo di mare a ovest e la vetta del Petricelle a est.
Dopo una meritata e prolungata sosta per rifocillarci e recuperare energie, dalla vetta ritorniamo lungo la via di salita fino al punto di uscita del canalone. Proseguiamo quindi in discesa lungo il sentiero, raggiungendo in breve la ripida e spettacolare cresta sud, che scende in linea diretta fino alla chiesetta de “La Croce”. Notevole il colpo d’occhio che offre la parete sud con i suoi pini loricati che sembrano spettri immersi nella nebbia. Dalla chiesetta, invertendo direzione, imbocchiamo per circa un centinaio di metri il sentiero che conduce al Passo della Melara, per andare a visitare il "Candelabro" o "Zippu di don Carmelo", un maestoso pino loricato a quattro branche, che con i suoi 600 anni di età, una circonferenza di 3,70 metri nella branca principale e un’altezza di ben 17 metri è dichiarato albero monumentale d'Italia.
Dopo aver salutato questo "gigante della natura", riprendiamo la discesa, passando dal Rifugio Belvedere, colmo di visitatori appartenenti al CAI Bari. Il sentiero serpeggia attraverso una zona fortemente erosa, caratterizzata da un sottile brecciolino calcareo bianchissimo, tra vari esemplari di pini loricati, fino a raggiungere un ponticello in legno che attraversa il Gafaro della Neve. Da questo punto il percorso cambia, trasformandosi in uno stretto sentiero di terra battuta che prosegue prima immerso nel bosco e infine nella macchia. Dopo sette ore e mezza di cammino intenso, attraversando ambienti estremamente eterogenei, raggiungiamo finalmente l’auto, stanchi ma pienamente soddisfatti.