Quando si
parla della Montea la mente non può che andare alle tante escursioni estive ed
invernali compiute in questi anni in una delle montagne più belle e selvagge
del Meridione, ascensioni effettuate praticamente da tutti i versanti e in
tutte le condizioni. Il Canalone Nord rappresentava una vera sfida a motivo del
disagevole avvicinamento che esso comporta. Esso è facilmente visibile un po’
dappertutto nell’area Parco anche da molto lontano in quanto descrive una evidente
Y di colore bianco e conserva la neve fino a primavera inoltrata per la sua
esposizione. Con questa uscita di carattere esplorativo abbiamo dunque valutato
la possibilità di realizzare l’ascensione in invernale studiando un percorso ad
anello che potesse risultare il più agevole e logico possibile.
Il piano era
quello di partire da Fontana di Cornia, sul versante sud, aggirare la parte
terminale del Crestone Est lungo il sentiero che conduce alla Tavola dei
Briganti e la Pietra Portusata, raggiungere la sterrata proveniente dal
Pettoruto e dai Campicelli che scende al Varco del Palombaro, quest’ultimo un passaggio obbligatorio ai tempi di
greci e romani della via istmica che collegava lo Ionio al Tirreno. Prima del
Varco la sterrata intercetta il Canalone Nord che avremmo impegnato esplorando lo
stesso e in modo particolare le varie uscite già osservate dall’alto, raggiungere
la cima o la cresta, rientrando infine a Cornia percorrendo l’aereo crinale
chiudendo in tal modo un fantastico anello.
Con me ci sono Pasquale, abituale compagno di cordata e
Damiano da Lauropoli. Viste la complessità, la lunghezza e la durezza
dell’itinerario che non può essere considerato soltanto escursionistico, occorrono
forti motivazioni. Nonostante ciò si parte un po’ tardi, alle 8.30 circa dai
900 metri della Fontana di Cornia in una giornata tutto sommato bella ma un po’
umida. Verso Ovest le cime della Limpa, Castelluccia con l’aguzzo Canittello
salutano la nostra partenza. La prima parte del sentiero non presenta difficoltà
alcuna procedendo quasi sulla stessa curva di livello fino ad elevarsi
leggermente in prossimità della Tavola dei Briganti, un bizzarro roccione a
forma di fungo alto circa due metri, un vero scherzo della natura.
Purtroppo qualcuno ha pensato di impiantarvi degli
antiestetici tiranti in acciaio tutt’intorno per evitare che cedendo la base esso
possa cadere. Guardando la foto lascio giudicare a voi un simile obbrobrio.
Seguendo questa logica demente dovremmo applicare simili protezioni a tutti i
monumenti di roccia in apparente precario equilibrio ignorando il semplice
fatto che la natura e il tempo delle cose devono fare il loro corso. E allora
se un giorno, chissà quando, la Tavola dei Briganti dovesse abbattersi, che
cada e basta.
Poco più su, sempre lungo il sentiero incontriamo un
altro monumento caratteristico, la Pietra Portusata, un enorme teschio riverso
con un foro naturale nella roccia attraversata da un faggio. Prima che la
vegetazione attorno ad essa si infoltisse notevolmente, in un determinato
periodo dell’anno e da una particolare angolazione si poteva cogliere il sole
al tramonto attraverso l’occhio della Pietra. Dopo questa tappa il sentiero piega
a sinistra verso il bivio della sterrata che conduce al Varco del Palombaro.
Nel frattempo godiamo della vista mozzafiato sul gruppo della Mula con gli
scoscendimenti della Pietra dell’Angioletto.
Mentre procediamo sentiamo però delle voci e i rumori di
mezzi motorizzati pensando a qualche fuoristrada appartenente a cercatori di
funghi. Sarà invece tutt’altro perché giunti al bivio ci ritroviamo uno
stradone largo realizzato da poco, una vera e propria autostrada al posto di
quello che era uno splendido sentiero di montagna. Scendendo verso il Varco del
Palombaro la sorpresa diventa sbigottimento e costernazione perchè tre poderosi
autocarri si stanno muovendo con il loro carico di grossi tronchi. Dovrebbero
appartenere ad una ditta locale di trasformazione di legname che opera
disboscamenti in zona violentando in tal modo una località che fino ad ora
consideravo una delle più selvagge e scarsamente antropizzate del Meridione.
Al momento della stesura di questo post non conosco bene tutto ciò che concerne la portata e la natura di tali opere di disboscamento ma un articolo scritto su “Scirocco blog Tiscali” mi ha lasciato molte riserve sul fatto che purtroppo si sta consumando l’ennesimo scempio nel nome del profitto in questo splendido e altrettanto delicato ecosistema.
Tralasciando per ora queste considerazioni torniamo
alla nostra avventura. Il canalone inizialmente non presenta difficoltà
sostenute e si procede su grosse rocce compatte fino a che non si incontra un
salto insuperabile di alcuni metri anche per la presenza di stillicidio
d’acqua. Avendo esigenze puramente esplorative operiamo un delicato aggiramento
a destra su pendio ripido e per un tratto esposto. Siccome dal margine notiamo
un successivo salto, continuiamo sul lato destro del canalone aggirando anche questi.
Bisognerà vedere in che condizioni saranno in inverno, se li troveremo innevati
o meno considerando che in questo punto la quota si aggira soltanto intorno ai
1100 m.
L’aggiramento di queste difficoltà ci fa deviare un po’
troppo verso destra e dopo un’occhiata alla mappa gps correggiamo la rotta
tagliando a sinistra attraversando al contempo una diramazione secondaria del
canale principale. Purtroppo a questo punto la parete in cui esso si trova incassato
non ci permette di ridiscendervi e così
lo costeggiamo fino a che esso non si allarga trasformandosi in ghiaione di
calcare bianchissimo. La diramazione che va verso sinistra morirà proprio sotto
la parete verticale della cima in cui vi è il punto geodetico della Montea.
Quello che interessa a noi è la parte centrale del canalone che a sua volta, un
pò più in alto si biforca ulteriormente.
Il ramo di destra termina nella faggeta sotto la vera
cima di Montea, il ramo di sinistra che descrive una curva va ad uscire proprio
sotto le pareti della cresta fra le due cime presentando un ventaglio di
piccoli canalini che sono le uscite, tutte molto belle ed estetiche.
Costeggiando una di questi canalini su pendio ripidissimo in faggeta sbuchiamo
proprio a ridosso della caratteristica guglia rocciosa dove alla sua base vi è
un pino loricato orizzontale, poco prima della cima secondaria.
La fatica è stata notevole su un terreno talmente ripido
che neanche le foglie cadute riuscivano a posarsi e purtroppo poco sotto
l’uscita in cresta sono stato colto da crampi anche a causa del forte tasso di
umidità che mi ha fatto sudare tantissimo. Durante un’escursione non ricordo di
aver mai dovuto cambiare la maglietta che questa volta era talmente zuppa che si
poteva strizzare. Anche Damiano ha avuto qualche disturbo gastrico dovuto
all’acido lattico ma il tutto, sia per me che per lui si è risolto in un quarto
d’ora.
Usciti in cresta speravamo di godere dei vasti panorami
che solo questa magica montagna sa regalare ma la fitta nebbia ci ha precluso
ogni sublime visione. Completamente diverso lo scenario rispetto all’ultima
volta in cui io e Pasquale salimmo sulla Montea e dove si riusciva a vedere
l’intera costa calabra, lo stretto di Messina con i Nebrodi, il mastodontico
Etna fumante, tutte le isole Eolie fino ad Ustica. Avvolti dalla nebbia
consumiamo il nostro panino prima di recuperare le forze necessarie per il
ritorno lungo il crinale. Prima ci concediamo qualche scatto sulla cima a 1785
m. dove notiamo che il traliccio metallico accanto al pilastrino dell’IGM è
stato divelto dalla forza del vento e delle bufere che si scatenano su queste
cime.
Dopo nove ore di duro cammino e 1200 metri di dislivello
colmati su pendenze impensabili rientriamo alla fontana di Cornia a recuperare
il nostro fuoristrada. Fatte tutte le nostre considerazioni non ci resta che
pensare cosa partorirà il prossimo inverno la medesima via fatta oggi in
condizioni diverse.
2 commenti:
interessantissima, seguo tutto ciò che posti qui, e molte tue vie sono in agenda...
Grazie del passaggio.Se ti serve qualche informazione non esitare a chiedere.
Saluti
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