Desideravo
chiudere alla grande la stagione invernale e il modo migliore per farlo era
quello di recarmi sul massiccio del Gran Sasso con l’obiettivo di risalire uno
dei canali che anche a primavera inoltrata dà notevoli garanzie di innevamento.
Si tratta del famoso Canale di Fonte Rionne che si insinua nel dedalo di ardite guglie, slanciate torri, pinnacoli,
alte pareti rocciose e profondi valloni che caratterizza il tormentato
versante sud occidentale del Monte Infornace alto ben 2496 m.
“E’ uno dei nevai più spettacolari del Gran
Sasso, incastonato com’è in questo selvaggio ambiente. Intorno a quota
2050-2200 m. va a riempire la parte più incassata e profonda del ramo sinistro
orografico del fosso di fonte Rionne. Nonostante l'esposizione a SW e la quota
non proprio da ghiacciaio, il nevaio si conserva bene e spesso resiste per
l’intera stagione, anche dopo estati calde, grazie alla posizione incassata che
evita lunghe esposizioni dirette ai raggi solari.
A luglio si può presentare ancora possente,
allungato a seguire tutto il fondo della forra per quasi mezzo chilometro, con
uno spessore che può oscillare tra i 15 e i 30 metri. In seguito però si
frammenta, e il nevaio si riduce, distaccandosi sempre di più dalle pareti
circostanti, con profonde intercapedini (crepacciate) tra neve e roccia, larghe
anche più di un metro e profonde quanto il nevaio.” (http://nuke.ilcalderone.biz)
E’ fine Maggio e dopo essermi preventivamente
informato delle sue condizioni tramite l’amico Remo di Sulmona che lo ha fatto la
settimana prima, si parte destinazione L’Aquila, base di partenza per l’uscita
prevista il giorno successivo Domenica 28 Maggio. Vorrei spendere qualche
parola su questa città che è stata vittima del terremoto nel 2009.Il centro
storico è in buona parte un cantiere e spicca la presenza massiccia di gru un
po’ dappertutto. E’ palese il fatto che la città faccia fatica a riacquistare il fascino originale, ma conoscendo il carattere orgoglioso e
caparbio degli abruzzesi insieme alla forza di volontà e alla tenacia che li
contraddistingue, mi auguro che al più presto riescano a riprendersi e a restituire
L’Aquila e le altre zone colpite più di recente dal violento sisma all’antica
bellezza.
Arrivo intorno alle 6.30 presso il bivio per
S.Stefano di Sessanio e parcheggio l’auto alla prima piazzola punto di
osservazione della maestosa catena che va dal Corno Grande al Monte Camicia. In
realtà avrei dovuto proseguire un altro paio di chilometri più giù dove di
solito si parte per le vie del settore sudoccidentale della catena. Al ritorno mi
costerà aggiungere alla fatica anche altra strada per andare a recuperare
l’auto.
La giornata è splendida anche se un po’
ventilata. In completa solitudine mi avvio lungo l’esteso pianoro di Campo
Imperatore attraversandolo in senso trasversale dirigendomi verso le conoidi di
deiezione dei canali che scendono dall’Infornace. Durante l’attraversata
innumerevoli fioriture di orchidee selvatiche e violette tappezzano l’immensa
prateria dando un tocco di colore all’avvicinamento.
Dopo un’ora e mezza circa sono alla base del
canale dove una pittoresca cascata fuoriesce da una captazione di cemento più
in alto. L’attraverso e giungo finalmente alla base del nevaio dove preparo
casco, ramponi e imbrago. Per adesso vista la pendenza modesta procedo con una
picca e un bastoncino. Mi precedono due baldi scalatori che dall’accento mi
sembrano del nord ma in effetti sono marchigiani residenti al confine con
l’Emilia Romagna. Si legano in cordata e iniziano la progressione.
Mi avvio anch’io e dopo un primo tratto al sole
cocente il canale svolta a destra all’ombra. Già da questo primo punto di
osservazione si svela in tutta la sua maestosa bellezza, incassato tra alte
pareti e guglie tutt’intorno, ben slanciato e lineare. Anche se tecnicamente
non è difficile è davvero maestoso e spettacolare. Raggiungo i due che mi
precedevano proprio all’altezza di un crepaccio apertosi a ridosso del salto e
che come mi aveva detto Remo bisogna aggirare a destra sulla roccia marcia e
sgretolata prestando un po’ di attenzione.
Dopo il superamento dell’ostacolo giunge da sotto
piuttosto velocemente un altro solitario, Marco con il quale condividerò il
resto dell’ascensione. Più in alto in corrispondenza di un enorme roccione
piramidale il canale si dirama. Ignorando il ramo di sinistra saliamo per poco,
intenti ad imboccare quello di destra che porta direttamente in vetta. A questo
punto siamo ingannati da un’ulteriore diramazione che va ancora più a destra e
che seguiamo. Il vero ramo di destra invece ce lo lasciamo alle spalle anche
perché ci dà la sensazione che vada anch’esso verso sinistra.
Prima dell’uscita si interrompe a causa di due
crepacci che sembrano insuperabili. Marco si porta a destra incuneandosi in uno
stretto camino roccioso risalendolo in opposizione e portandosi al di sopra del
salto. Dopo tocca a me e avendo due piccozze penso di aggredire la propaggine
terminale del nevaio che viene da sopra e che è spezzato al di sopra di un
crepaccio profondo cinque, sei metri. La neve purtroppo è pessima, morbida e le
picche sfilano come se tagliassero burro.
Poco più su sembra abbastanza solida soltanto che
per superare il salto, dopo aver piantato bene una picca devo fare un balzo e
piantare il rampone nel muretto di neve sperando che il tutto regga. Al tre
balzo issandomi di prepotenza con le due picche superando in tal modo l’ostico
passaggio, un muretto ad ottanta gradi pieni sospeso sul crepaccetto. Penso a
tutta l’esperienza accumulata gli inverni passati sulle belle vie tecniche del
Pollino e che al momento giusto va tirata fuori.
I due marchigiani rimangono ad armeggiare prima
del salto incerti sul da farsi. Io e Marco invece siamo all’uscita e ci
accorgiamo di avere sbagliato perché il ramo di destra era quello precedente.
Non ce ne facciamo però un problema e andiamo a questo punto alla ricerca di una
possibile variante. Davanti parete, di lato pendio ripido di neve e roccia e in
fondo una spalla. Scendiamo, io per neve, Marco per roccia facendo attenzione
al traverso fino ad intercettare un bellissimo canalino stretto e ripido
intorno ai cinquanta gradi che va in direzione nord.
L’attacco presenta un salto scoperto e al centro
della strozzatura bisogna passare in mezzo ad un ponticello di neve largo una
quarantina di centimetri che potrebbe non reggere. Ormai a primavera inoltrata
su questo tipo di terreno simili crepacci sono l’ostacolo maggiore. Superiamo
brillantemente il tutto fino a che il canale si apre, si allarga e si dirama
ulteriormente. Prendiamo a sinistra portandoci su una stretta e labile
selletta. Sotto di noi l’abisso e in fondo il larghissimo e comodissimo vero
ramo di destra del Fonte Rionne.
L’unica possibilità di prosecuzione sembra una la
crestina rocciosa che bisogna rimontare e successivamente un canalino breccioso
che non sappiamo dove porterà. In questo frangente stiamo procedendo per
tentativi. Infine Marco da sopra mi riferisce di aver trovato i bolli di una
via e questo ci tranquillizza non poco. Finiamo proprio su di una cuspide
rocciosa che domina l’uscita del Fonte Rionne dove nel frattempo stanno
sopraggiungendo diversi scialpinisti. Ormai ci siamo, piccola discesa e breve
risalita per la cresta terminale del Monte Infornace. Verso Est dominano lo
scenario Il Prena e molto più lontano il Camicia che mi riporta alla mente
l’infinita cavalcata di un anno fa per il sentiero del Centenario.
Dopo aver consumato il panino si decide per il
ritorno. La via più breve è sicuramente la Cieri che parte dalla selletta
sottostante la cima dell’Infornace. Mentre notiamo la scritta di vernice rossa
al suo attacco, sopraggiungono da lì due scalatori che dicono di aver fatto la
Via dei Laghetti.Credo che l’abbiano confusa con la Cieri,a meno che a circa
due terzi della Laghetti non abbiano fatto il traverso che la unisce alla
Cieri, anche se la cosa mi sembra improbabile.
Comunque a parte le considerazioni del caso
scendiamo seguendo i bolli lungo le pendici rocciose e i salti di questa bella
via che assomiglia alla Laghetti giungendo fino in fondo alla Canala. La Cieri
in disarrampicata si rivela una spaccagambe, molto meglio farla in salita. La
Canala è una conoide di deiezione gigantesca e spettacolare che la dice lunga
su tutto il materiale che viene giù dall’Infornace e dal Prena quando piove
forte. E’ infatti assolutamente rischioso fare in salita queste vie anche solo se
minaccia pioggia.
Seguiamo il tracciato serpeggiante della Canala
come se fossimo su di un immenso deserto fino a raggiungere le rispettive auto
e come dicevo all’inizio, purtroppo devo prolungare forzatamente la via del
ritorno. Infine a Fonte Cerreto meritatissima birrona scura e ghiacciata per
placare tutta la sete e la fatica della giornata.
Sono davvero contento di aver aggiunto un altro
tassello importante al mio palmares di vie classiche del Gran Sasso e ora con
l’estate alle porte spero di portare a termine altri progetti in terra d’Abruzzo
nell’immediato futuro. Vedremo.
2 commenti:
Complimenti amico gran bella uscita!
Grazie.Anche il Gran Sasso fa vivere belle emozioni
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