Non bastano le parole per descrivere lo spettacolo che si incontra entrando nella suggestiva Valle del fiume Argentino, il cuore ecologico e anima selvaggia del Parco del Pollino, una delle aree "Wilderness" più vaste e affascinanti d'Italia, il regno del verde e dell'acqua. Ambiente integro e incontaminato, è un autentico laboratorio botanico a cielo aperto in quanto vegetano ben 846 specie botaniche, straordinaria testimonianza di biodiversità.
Affluente del fiume Lao, l’Argentino
serpeggia tra fitti boschi, stretti canyon dalle pareti vertiginose, cascate
scintillanti e acque gelide e cristalline che ospitano la lontra e la trota. Nel
suo areale inoltre si muovono branchi di lupo e un buon numero di caprioli, qui
considerati autoctoni, unica popolazione geneticamente pura di capriolo
italiano.
La natura carsica ha scolpito nel paesaggio
formazioni calcaree modellate dall'erosione, aerei e strapiombanti crestoni,
guglie e pinnacoli come Castel Brancato e Corno Mozzo e dirupi vertiginosi come
i Crivi di Mangiacaniglia e delle Falaschere. Un disordinato ventaglio di
creste e abissi nei quali sopravvivono autentici giganti, faggi e pini loricati
che si innalzano per venti, trenta metri. La valle dell'Argentino è a pieno
titolo una delle perle nascoste della Calabria, un intreccio di natura
incontaminata, storia e tradizioni. Per me, la foresta pluviale amazzonica immersa
nei torrioni andini di Machu Picchu.
Porta d'ingresso a questo mondo incredibile
è il pittoresco borgo d'Orsomarso, arroccato in posizione panoramica e che dà
il nome al versante sudoccidentale del Parco. Dal “Torrione dell'uomo lungo”,
imponente monolito che sta a guardia della valle, una sterrata risale il fiume per
cinque chilometri fino alla località "Povera Mosca". Quì, nella quiete
solenne sorge lo storico rifugio ristorante "Montano" gestito da
Oscar Dal Core, figura nota e apprezzata per la sua profonda conoscenza del
territorio.
Dopo la forra fossile di Castelgrande desideravo acqua e fresco, visto le torride temperature di metà agosto. Con Pasquale e Damiano avevamo programmato già da qualche settimana la discesa del fiume Argentino, che mi mancava da ben 22 anni e finalmente, martedì 12 agosto arriva il giorno dell'escursione.
Essendo Riserva Naturale Orientata Statale,
tutelata anche come Zona di Protezione Speciale, l’accesso in auto è consentito
solo a chi raggiunge il rifugio o intende fermarsi a mangiare. In alternativa, il
percorso può essere coperto a piedi (cinque chilometri all'andata e cinque al
ritorno), o in mountain bike fin dove è possibile. Noi, previa prenotazione, abbiamo
scelto l’auto.
Dal rifugio si parte alle otto in punto. Il
primo tratto è un facile sentiero turistico, servito da una serie di ponticelli
in legno che permettono di ammirare ruscelli, cascate e ruderi immersi nella
vegetazione. La maggior parte dei visitatori si limita a percorrere la prima
parte del sentiero o spingersi poco oltre, ma il nostro obiettivo è molto più
ambizioso: compiere l'anello più lungo, completo e difficile ma allo stesso
tempo appagante, raggiungendo in un percorso di torrentismo il "Varco
della Gatta", un luogo selvaggio e di una impressionante bellezza, in cui
le fiumarelle di Tavolara e Rossale si uniscono dando vita all'Argentino. Da lì
avremmo seguito il corso del fiume in discesa fino a Pantagnoli, chiudendo così
l’anello. Da precisare che il luogo è generalmente conosciuto come Varco della
Gatta, ma il toponimo corretto secondo le carte Igm è ”Imbuto di Mare Piccolo".
Superata la sorgente di Pantagnoli il
sentiero si restringe e prende quota fino a una paurosa frana di bianco
calcaree sgretolato interessata da stillicidio d’acqua, che conviene
attraversare rapidamente per la precarietà della parete che la sovrasta. Qui la
vegetazione si apre offrendo una vista mozzafiato sul Corno Mozzo e altri
torrioni aguzzi verso est. Dopo alcuni saliscendi nel bosco raggiungiamo un
poggio panoramico da cui si ammirano Castel di Raione, Timpone Garrola e i
tormentati versanti dei Dirupi di Boccademone, i Crivi di Mangiacaniglia e
delle Falaschere. Durante il cammino incrociamo anche una piccola vipera intenta
a termoregolarsi prima di infilarsi tra le rocce.
Il sentiero ora diventa ancor più impegnativo, inerpicandosi con tornanti ripidi fino a quota 850 m. dal quale si ha un ulteriore colpo d'occhio sulla rupe di Castel S. Noceto e sul profondo intaglio del Varco della Gatta. Poco oltre incontriamo una grossa ruota metallica con annessi cavi metallici, testimonianza del disboscamento di un secolo fa, veri reperti di archeologia industriale. Lungo la discesa troveremo altri spezzoni di cavo nel letto del fiume.
Da questo valico la traccia scende, attraversa
il Vallone Fornelli e, seguendo il torrente omonimo, ci conduce finalmente
all’Argentino dove immergiamo finalmente i piedi nelle sue fredde acque. Inizia
così la risalita del fiume fra massi imponenti e cascatelle scroscianti.
Nell'ultima parte incontriamo alcune anse dove il fiume si inforra tra alte
pareti fino ad una frana di blocchi ciclopici che ostacolano l'accesso alla
confluenza delle fiumarelle di Rossale e Tavolara. Con l'ausilio di una corda
fissa superiamo l’ultimo salto. Siamo al Varco della Gatta.
Un misto di riverenza e contemplazione ci
pervade rapiti da questo luogo tanto selvaggio quanto spettacolare e restiamo
in silenzio davanti all’inarrestabile forza delle acque che si uniscono per dar
vita all’Argentino. Tornarvi dopo tanti anni è per me un’emozione intensa, ma
la via del ritorno è lunga e ci attendono altri luoghi incantevoli da vedere,
condizionati anche dal pranzo prenotato al rifugio alle 16.30.
Cominciamo la discesa a oltranza facendo attenzione ad alcuni massi scivolosi ricoperti da una patina color rosso sangue. Si tratta di colonie di ferrobatteri, gruppi di microrganismi aerobi fissatori del ferro che ottengono carbonio dal biossido di carbonio e ricavano l’energia per il proprio metabolismo dall’ossidazione del ferro.
Dopo un tratto accidentato su una sponda esposta
ma protetta da corde fisse, raggiungiamo la maestosa cascata di Fauzofili, alta
una quindicina di metri e dalla notevole portata. L'acqua scende con un fragore
solenne e alla base la caduta si placa in un'ampia pozza azzurra e cristallina,
limpida come vetro. Un’atmosfera di sacralità avvolge il luogo, come se fosse
un santuario naturale dove il tempo sembra si sia fermato. Gli escursionisti
più audaci risalgono il fiume fino a questo punto proprio per immortalarne la
sua bellezza.
Più a valle il fiume torna ad inforrarsi
nuovamente tra pareti calcaree imponenti che ci introducono nell'antro delle
"Acque piangenti", un ambiente da fiaba, con rocce pensili formatesi
per erosione, ricoperte di muschio e capelvenere da cui stillano acque purissime.
Questa cavità, la più grande, sembra una cattedrale naturale. Dopo di questa
incontreremo altre nicchie rupestri più piccole ma ugualmente suggestive lungo
un percorso sempre impervio ma compensato dal continuo contatto con la natura
più incontaminata e primordiale. In successione dobbiamo superare un salto con
masso incastrato e una piccola cascata con l'ausilio di un mancorrente
allestito di fianco la sponda destra e più avanti altre due grotte
stillicidiali, più piccole della prima ma ugualmente spettacolari.
Infine, prima di abbandonare
definitivamente il fiume incontriamo una poderosa cascata a salti multipli, identificabile
con il Vallone Deo Gratias che incide profondamente il versante sudoccidentale
del monte Palanuda. Il sentiero risale in destra idrografica, riconduce alla
fonte Pantagnoli e infine a Povera Mosca chiudendo quello che considero uno dei
percorsi più spettacolari non solo della Calabria ma di tutto il sud Italia.
Giunti al rifugio,insieme ai miei compagni
di avventura, Pasquale e Damiano, ci concediamo un momento di convivialità al
ristorante con un gustoso pranzo a base di fusilli al sugo, bistecche di carne
e un ottimo rosso locale. Meglio di così!
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3 commenti:
Grande giornata, e luoghi spettacolari!
Un'emozione unica aggiungerei
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