“ E’ il
percorso di cresta più eccezionale dell’Appennino”;”E’ un percorso
entusiasmante. Una volta fatto rimane impresso nel bagaglio escursionistico”.
Queste le
osservazioni di alcuni amici che prima di me hanno fatto il famoso Sentiero del
Centenario sul Gran Sasso. Non voglio parlare qui di tabelle di marcia e di
tempistica nel compiere questa grandiosa attraversata,dico soltanto che abbiamo
impiegato 11 e 12 ore,e questi sono i tempi che occorrono normalmente,poi si sa
c’è chi lo ha fatto anche in 9,10 ore o meno ma a me le gare in montagna
interessano poco. Personalmente sono convinto che questa attraversata non deve
assolutamente mancare nel carnet escursionistico di chi è vero appassionato di
montagna.
Volendo fornire qualche cenno storico, la via del
Centenario si chiama così perché è stata realizzata dalla Sezione CAI
dell’Aquila in occasione del centenario della sua fondazione avvenuta nel 1874.
Giusto per avere un’idea di massima di cosa sia e di quale grado di impegno richieda,
basta visualizzare l’itinerario percorrendo la strada che porta a Campo
Imperatore.
Sulla
sinistra svetta inconfondibile la mole del Corno Grande. Subito a destra si
staglia una maestosa catena di vette frastagliate che corre da Ovest ad Est e che
lunghissima ed interminabile parte da
Vado di Corno a quota 1924 m. e seguendo la panoramica cresta arriva a Monte
Brancastello (2385 m.),scende poi al Vado di Piaverano e quindi alla base delle
Torri di Casanova dove inizia il tratto attrezzato con scalette metalliche e
cavi che permettono lo scavalcamento della prima torre. Dopo la seconda a quota
2361 m inizia la parte più tormentata dell’intero percorso,quella che vede il
raggiungimento di Monte Infornace (2496 m.),un castello di guglie e pinnacoli
superabili in un estenuante saliscendi fra canalini, tratti attrezzati e
brecciai.
Sempre in saliscendi si arriva alla base del ripido pendio breccioso che porta alla vetta di Monte Prena a 2561 m. Toccata la croce di vetta e perdendo notevolmente quota in un incredibile sfasciume di rocce e nevai residui si arriva al Vado di Ferruccio,ultima via di fuga per abbandonare il sentiero del Centenario. Esso costituisce una forte tentazione perché quando ci arrivi sei veramente “cotto” e il Camicia,ultima vetta che “dulcis in fundo” è anche la più elevata di tutte (2564 m.),è ancora tanto,ma tanto lontana. Ed’è a questo punto che deve emergere in te quel pizzico di orgoglio nel dire:”io il Centenario lo voglio completare” e ti rimetti in marcia tirando fuori tutte le energie residue e la tua gran forza di volontà.
La salita al
Camicia diventa delicata a causa della friabilità della roccia soprattutto
quando già stanchissimo ti ritrovi a risalire un canalino ghiaioso che richiede
una certa attenzione. Superatolo, un breve tratto di cresta ti porta ad un
“buco” e al superamento di un altro passaggio che ti conduce dritto al cartello
metallico indicante la via del Centenario. Ma la croce di vetta del Camicia è
più ad Est ad un tiro di schioppo, finalmente l’ultimo baluardo è conquistato. Non
ti rimane che la faticosa discesa (ma sempre discesa è) per il Vallone di
Vradda che ti porta a Fonte Vetica a 1632 m. dove preventivamente la mattina
hai lasciato l’auto staffetta. Al fontanino puoi godere finalmente di acqua
fresca e del meritato riposo,e se
vogliamo anche di una bella “birrona” acquistata al rifugio.
Erano tre
anni che coltivavo l’idea di questa grandiosa attraversata ma succedeva sempre
qualche contrattempo o imprevisto di natura logistica dovuto anche alla
necessità di avere le auto staffetta da lasciare a Fonte Vetica e a Vado di
Corno. Quest’anno la cosa pareva essere andata in porto in quanto la mia sezione Cai l’aveva
organizzato per metà Giugno. All’approssimarsi dell’evento però, mi sento dire
dagli organizzatori che l’uscita è annullata perchè si sarebbero verificati dei
presunti crolli lungo la via e che alcuni tratti attrezzati non erano sicuri o
malmessi. La maledizione sembrava continuare.
Mi attivo
subito per accertarmi della situazione reale e sentendomi con Remo di Sulmona, un
amico che considero il Wikipedia dell’Abruzzo e con altri, tra i quali la guida
Luca Mazzoleni, pare che non ci sia niente di significativo. E visto che le vie
di internet sono “potenti” (non dico infinite che sarebbe un po’ sacrilego) mi
accordo con un ragazzo abruzzese ,Gianluca, e due marchigiani,Maurizio e Danilo che come me
coltivavano da tempo il mio stesso progetto.
Si fa il 10
Luglio accada quel che accada. All’approssimarsi di tale data però un’altra minacciosa
“spada di Damocle” sembra di nuovo pendere “sulle nostre teste”. Le previsioni
danno proprio per quel giorno sviluppo pomeridiano di temporali di calore in
Appennino zona Campo Imperatore con pioggia debole incorporata. Dopo le nostre
valutazioni decidiamo di partire ed eventualmente sfruttare le due o tre vie di
fuga dal sentiero, i Vadi di Piaverano e Ferruccio e quello della Forchetta di
Santa Colomba in caso di emergenza.
L’appuntamento
è per le sei a Fonte Vetica. Arrivo io per primo con mezz’ora di anticipo, a
ruota Maurizio e Danilo da S.Benedetto del Tronto e alle sei in punto il buon
Gianluca da Ortona. Il piazzale è quasi vuoto e più su nei pressi del rifugio ci
sono alcune tende e qualche camper nel silenzio più assoluto. Si lasciano due
auto e saliamo con la terza all’attacco del sentiero che porta a Vado di Corno.
Alle 6.45
partiamo piuttosto veloci superando con slancio il Vado di Corno e
proiettandoci verso la prima vetta, il Monte Brancastello che raggiungiamo alle 8.30. Alla partenza il
tempo è perfetto e in cresta già il panorama è grandioso soprattutto verso sua
Maestà il Corno Grande che svetta con il suo paretone impressionante in grande
evidenza. Al nostro incedere siamo anche allietati dalla presenza di varie fioriture
di candide stelle alpine. Immortaliamo così il nostro passaggio alle targhe
metalliche che di volta in volta marcano le tappe del sentiero.
Fino al
Brancastello e successivamente scendendo alla base delle Torri di Casanova si è
trattato solo di una bella galoppata su cresta. Ora arriva il momento di tirar fuori casco,
imbrago e set da ferrata perché si comincia a fare sul serio. Incontriamo
infatti la prima scala metallica che dà il la ai tratti attrezzati. Superiamo e
scavalchiamo la prima torre per raggiungere la seconda con qualche passaggio
esposto che segna quota 2361 m. Sono le 10 in punto. Dalla seconda Torre la via
perde quota per giungere alla base dl Monte Infornace e già compaiono le
preannunciate nubi che man mano vanno ad aumentare di consistenza.
L’Infornace
costituisce una dura prova, un continuo saliscendi, aggiramenti di guglie e
pinnacoli attraverso cavi metallici, la risalita di stretti canalini in un
ambiente davvero severo e tormentato, un dedalo di rocce e sfasciumi con affacci
stupendi sul lato Campo Imperatore. La conquista di questa vetta ci fa perdere
più tempo del previsto per via della stanchezza che comincia ad emergere e di
due errori commessi fra le Torri e la base dell’Infornace che ci hanno
costretto a ritornare sui nostri passi per recuperare la “retta via”.
Ma
finalmente, dopo una serie interminabile di manovre, alle 12.45 raggiungiamo i
2496 m. del culmine massimo dell’Infornace. E qui ci concediamo una bella pausa
con panino e liquidi a profusione. Intanto che io e Gianluca ingurgitiamo
qualche carboidrato che ci tornerà utile più in la, l’altra coppia costituita
da Maurizio e Danilo riparte a razzo verso il Prena che sembra piuttosto
lontano ma che raggiungiamo in 45 minuti dall’Infornace.
Giunti ai
2561 m. della croce di vetta il meteo cambia di brutto, si sentono i primi
boati e comincia a piovere. Una veloce foto sul Prena col rischio di beccare
qualche saetta e discesa rapida lungo la spalla Est scendendo per una conoide
detritica e la presenza di piccoli nevai residui. Mi accorgo purtroppo di non
aver portato sufficienti liquidi (si consigliava due litri e mezzo o tre,
mentre io ne avevo meno di due).Riesco a riempire una bottiglia vuota con neve
pulita ma sempre vecchia e questo si rivelerà davvero provvidenziale anche
perché assunta insieme ad integratori.
Durante la
discesa dal Prena constatiamo che la strada è ancora lunghissima perché visualizzi
tutto il percorso che porta a Vado di Ferruccio e successivamente l’interminabile
cresta che alla fine ti condurrà alla
conquista dell’ultimo baluardo, il monte Camicia che è talmente lontano da
indurti a rinunciare e pensare di abbandonare appunto al Vado di Ferruccio. In
realtà molti arrivati a questo punto rinunciano al Camicia perché si è davvero
stanchi e provati, e nel caso nostro la situazione è aggravata dall’addensarsi
di nubi temporalesche che fanno sentire la loro voce, lampi e boati che
sembrano volerci raggiungere da un momento all’altro.
La
tentazione è davvero notevole. Un piccolo consulto in quattro a Vado di
Ferruccio e si decide di finire, rincuorati anche dal fatto che i temporali paiono
meno vicini di quel che sembra. Danilo e Maurizio battono strada mentre io e
Gianluca seguiamo. Lungo la progressione ci imbattiamo in una sequenza di
creste panoramiche e pareti strapiombanti spettacolari lato “Fondo della Salsa”
che costituiscono nell’insieme la famosa e famigerata parete Nord del Camicia.
Ormai sembra
non voler finire più. Da lontano vediamo Maurizio e Danilo risalire il canalino
terminale che parte dalla sommità di un piccolo ghiaione ma il percorso è ben
segnato dai soliti bolli giallo rossi che ci hanno accompagnato per tutta la
via. Il canalino è un II+,III – che però è molto friabile ma che non dà
problemi. Lo superiamo per raggiungere una piccola grotta, un buco più che
altro dove io e Gianluca ne approfittiamo per fare una pausa più che meritata.
Maurizio e Danilo sono cinquanta metri sopra di noi ma non riusciamo a sentirli anche provando a
chiamarli.
Il tempo diventa
ancor più minaccioso, vediamo i lampi piuttosto vicini e sentiamo i boati che
seguono, l’aria diventa elettrica. Riprendendo il cammino i due che ci stavano
aspettando spuntano da sopra. Ci indicano la vetta che è a dieci minuti mentre
loro iniziano la discesa per il Vallone di Vradda, preoccupati non poco per la
minaccia di fulmini. Il pericolo è reale perché arrivati alla croce di vetta,
toccandola sento la scossa elettrostatica simile a quella che si prende
toccando lo sportello dell’auto e subito dopo la sento “ronzare” carica di
elettricità statica. Maurizio mi dirà che scattandosi un selfy ha visto i suoi
capelli rizzarsi.
Nonostante
tutto riusciamo a porre le nostre firme su un libro di vetta davvero strapieno
di dediche e firme e varie foto, un autoscatto e via di corsa ad intercettare
il sentiero che descrivendo un ampio curvone scende verso Fonte Vetica.
Finalmente in una situazione di sicurezza possiamo fermarci e divorare il resto
del panino per riprendere la fastidiosa discesa. Questo il perché della differenza di un ora nel raggiungere
Fonte Vetica. Al fontanino una bella rinfrescata e una gran bevuta prima di
raggiungere i nostri compagni seduti ad un tavolino che stanno sorseggiando una
birra. E dopo dodici ore di duro cammino è veramente la birra più buona del
mondo.
Il Sentiero
del Centenario è concluso e completato. Una grande avventura, di durissimo
impegno psicofisico ma di estrema soddisfazione e gratificazione, un’esperienza
che rimarrà non solo nel bagaglio escursionistico ma anche sul piano umano, indimenticabile.
Ringrazio i miei tre compagni di cordata che hanno aderito al mio invito e spero
che questo sia forse il preludio a prossime future avventure, sul Gran Sasso o
magari altrove.
2 commenti:
Grande Giù!complimenti a tutti e 4.......dispiace non essere stato dei vostri!ma prima o poi questo Centenario lo farò anche io!saluti e a presto grande amico
Grazie di cuore,una grande attraversata ma veramente impegnativa,tremenda.
Posta un commento